
[rating=3] Avete mai sognato di volare? Un uomo scruta il mare, pensieroso, come fosse alla ricerca di una risposta. Poi raggiunge un furgone e si lega una corda al piede. Forgia un uncino e lo scaglia in aria. Da quel momento i suoi contorni si fanno meno definiti e ascende al cielo, trasportato dalla fune come fosse un pallone carico d’elio. Poi molla la cima e inizia a planare sul mare.
A questo punto la trasformazione: prima le ali; poi, un poco alla volta, l’uomo diventa un’aquila, maestosa e crudele. Da quell’altezza domina l’azzurro che si estende sotto di lui. Finché non avvista la sua preda: con sguardo minaccioso, la punta e rapidamente la raggiunge. Una soggettiva in picchiata e l’aquila si avventa su di una nave, un carico merci. L’afferra tra i suoi artigli e la trascina via con sé. In volo.
Con questa sequenza iniziale, onirica, realizzata dal disegnatore Hisko Hulsing, Last Hijack (L’ultimo arrembaggio) di Tommy Pallotta e Femke Wolting, apre la 55esima edizione del Festival dei Popoli (ieri, Cinema Odeon, ore 21:00). Docu-favola che narra la storia di Mohamed, pirata somalo, dalla trasformazione in aquila alla sua caduta, tratta il tema della pirateria da un punto di vista inedito: quello dei pirati stessi.
Gli umili pescatori di un tempo, segnati dall’arrivo dei grandi pescherecci e dalla guerra, scoprono la facilità con cui è possibile riscattarsi dalla nuova condizione di povertà tramite arrembaggi e sequestri. Il primo che Mohamed organizza, è un successo: tanto denaro senza colpo ferire. Così, ad ogni nuovo assalto, la paura iniziale svanisce e lascia il posto all’adrenalina. In breve tempo Mohamed e i suoi compagni divengono degli eroi, rispettati e stimati: portano la ricchezza nel villaggio e in cambio ricevono stima, rispetto, ammirazione. Una droga a cui Mohamed si abitua e di cui non può più fare a meno.
Come Henry Hill (Ray Liotta) in Goodfellas (1990, Martin Scorsese), rimane affascinato dalle possibilità che il crimine gli offre e gli agi che ne derivano lo incollano per sempre a quel mondo. A nulla valgono gli ammonimenti dei genitori: i loro inviti a scegliere una vita più tranquilla, una casa, una moglie e un lavoro umile (come quello di pastore o di spacca-pietre) non riescono a soddisfare la sua ambizione. Mohamed, che aborrisce quella vita semplice e dura, vuole continuare a volare. Finché non arriva un’aquila più forte a precipitarlo in mare.
Non è indispensabile rimanere all’oscuro del finale per apprezzare questo film: come per ogni documentario, ciò che conta è porsi in ascolto, informarsi, capire. Come previene il direttore Alberto Lastrucci questo film “non è un invito alla pirateria”, ma ha il grande pregio di mostrarci quel mondo dall’interno. Documenta una realtà. E così ci rende un grande servizio: ci induce a cambiare ottica, ad ampliare lo sguardo, nell’intento di trovare l’umanità anche in chi temiamo.
Non manca il senso critico, ma vediamo Mohamed con gli occhi del padre e della madre, di cui condividiamo la delusione e il senso d’impotenza. Non è più un pericoloso assassino che ci minaccia, ma un fratello che ha sbagliato, qualcuno che vorremmo salvare.
Né manca la visione opposta: la controparte di Mohamed, il Peppino Impastato (v. I cento passi di Marco Tullio Giordana) della situazione, è un giornalista radio che tenta di combattere la pirateria con l’informazione. Anche lui documenta la realtà e contribuisce a creare una nuova coscienza tra la sua gente: la consapevolezza del terrore che i pirati portano in mare, dei crimini che commettono.
E come Impastato è vittima della sua mafia: forte è il contrasto tra lui, che vive nel costante timore di perdere la vita, tanto da non poter neppure prendere la macchina o rispondere normalmente al telefono, e Mohamed, libero di far visita al parrucchiere quando vuole o di giocare con figli e nipoti spensierato e al sicuro. Quella quotidianità che per il pirata è banale e insoddisfacente, per lo speaker è la meta più ambita.
Un contrasto che di certo fa riflettere.
Sul piano dell’immagine, la suggestione più grande arriva dall’animazione, puro godimento visivo. La grafica di Hilsko Hulsing, con la sua spettacolarità, accompagna degnamente, a volte superandola, l’ottima fotografia di Ahmed Farah. Al disegno sono affidate le scene più drammatiche ed intense: i sogni di Mohamed, le azioni dei pirati, i ricordi dell’infanzia e della guerra. Tutti aspetti che non possono essere documentati direttamente ma che è impossibile non raccontare.
In conclusione, un film da vedere, liberando la mente da pregiudizi: per gli occidentali è un’occasione per abbandonare le sovrastrutture che la manipolazione mediatica spesso comporta, per i pirati, o gli aspiranti tali, è un monito perfetto.
Di nuovo, come in Goodfellas, dove Henry Hill diviene ciò che ha sempre detestato (“uno stronzo qualsiasi”), Mohamed chiude il suo ciclo da dov’era partito, se non peggio. Quell’agio che il crimine gli aveva procurato era solo un miraggio, qualcosa di effimero e fugace, e non lo ha riscattato per sempre dalla povertà. Domanda implicita: vale davvero la pena precipitare così?
Stasera l’avventura continua con Smokings di Michele Fornasero, documentario sulle sigarette made in Italy: in anteprima italiana, ore 21:00, allo Spazio Alfieri.