
[rating=3] Madonna è il terzo lungometraggio della 43enne regista Shin Su-Won, presentato a Cannes 2015 nella sezione “A Certain Regard”, ha riscosso un discreto successo e lanciato sul panorama cinematrografico Kwon So-Hyun, vincitrice del Premio della Critica Cinematografica Coreana come Miglior Attrice Esordiente. Il film è stato proiettato al Cinema Odeon di Firenze all’interno del Florence Korea Film Fest.
Altro film di critica sociale, come il precedente Pluto (2013), Madonna è una sorta di caleidoscopio noir delle ingiustizie nella società coreana, dagli abusi sessuali impuniti al maschilismo, dal traffico di organi al potere di uomini senza scrupoli, dipingendo un quadro dove la modernizzazione economica sembra aver esasperato le disuguaglianze della tradizione.
Se la varietà dei temi trattati può talora indebolire l’impianto dell’opera, la narrazione segue tuttavia un fil rouge che si dipana per tutto il film, cioè il racconto della solitudine delle donne in una società dove il denaro e il potere non lasciano spazio all’umanità e ai sentimenti. Che sia tra i marmi di una clinica di lusso, oppure nei bordelli semibui e fatiscenti, l’opera della Su-Won denuncia una condizione esistenziale svuotata del sentimento primordiale che è l’amore e ridotta ormai a vuoto simulacro di se stessa. Da qui, il titolo del film, Madonna, ovvero un’identità feticcio per mascherare le sofferenze e venire a patti con un mondo troppo brutale.
Tra il noir e il drammatico, il film inizia con una valigia gettata in un lago, e una ragazza con una parrucca gialla e la testa fracassata sotto il cavalcavia di una periferia. Due misteri, due punti oscuri che segnano le vite speculari delle protagoniste, Hye-Rim (Seo Young-hee), assistente sanitaria di un reparto di un ospedale VIP, e Mi-na (Kwon So-Hyun), una ragazza ventenne, costretta dalla vita a prostituirsi, con il soprannome di “Madonna”.
L’ambientazione è quella di un reparto di lusso di un ospedale, dove la camera più importante è occupata da dieci anni da un ricco magnate in stato vegetativo, il Presidente Kim Cheol-oh (Yoo Soon-chul), che Sang-woo (Kim Young-min), il figlio cinico e senza scrupoli, vuole tenere in vita a tutti i costi. Mai amato dal padre, Sang-woo si comporta con durezza, nascondendo la fragilità della sua vita e del suo status, appesi al cuore stanco del padre. La clinica diventa il microcosmo per raccontare la prepotenza del potere, dove il più ricco può decidere sulla vita e la morte degli altri.
Infatti, giunge in ospedale Mi-na, incinta e in stato di morte cerebrale, dall’identità sconosciuta, proprio per questo, facilmente individuata dai medici come donatrice del cuore per il Presidente. Il figlio del magnate preme affinché sia lei la donatrice, sacrificando la vita del piccolo in grembo, ed incarica Hye-min di cercare un familiare della ragazza, in modo che possa firmare il consenso alla donazione.
L’incarico sarà per la fredda Hye-min, dagli “occhi senza compassione”, l’inizio del viaggio alla ricerca dell’identità di Mi-na, scavando nella sua vita, in un inesorabile crescendo di umiliazioni patite durante l’infanzia, di manipolazioni ed abusi degli uomini nei luoghi di lavoro, fino alla prostituzione e le violente percosse. Si scopre la vita di una ragazza buona, la cui disperata ricerca di essere amata, di essere oggetto di affetto, l’ha portata pian piano a trangugiare spaghetti, a vestirsi con abiti sciatti e nascondersi dietro un’identità altra. Questo viaggio nella vita di Mi-na darà a Hye-min la possibilità di ritrovare dentro di sé un’umanità perduta, soprattutto di ritrovare un’occasione di catarsi, di liberazione, di rimarginare le ferite.
Nonostante la durezza delle immagini e della storia, talora nauseanti, il film restituisce un’immortale speranza, un ancestrale desiderio e capacità di amare, anche laddove la vita è stata così dura.