
[rating=4] Marina Abramović ha bisogno di poche presentazioni. Autodefinitasi Grandmother of performing art, dagli anni Sessanta sciocca il mondo con atti artistici estremi, anche di autolesionismo, mettendo in pericolo la sua vita per dare al pubblico una chance di riscatto e purificazione. Insomma, lei è riuscita a fare di sé un capolavoro. Ancora una volta, quasi alla soglia dei settanta, ha creato un’opera d’arte.
Dopo il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1997 con Balkan Baroque, dove per quattro giorni ha pulito ossa di bovino intonando canti della sua terra madre (Serbia); dopo giorni e giorni trascorsi su una sedia, solo guardando negli occhi chiunque le si fosse seduto davanti (The artist is present, 2010, MoMa di New York), adesso è la volta del docufilm The Space In Between. L’abbandono del marito (che l’ha lasciata per un’altra donna), la delusione, la sofferenza incalcolabile l’hanno spinta verso il Brasile, in un viaggio spirituale ed extra sensoriale, seguita dal regista Marco Del Fiol. “Maria Callas è morta per amore di un uomo. Io non voglio fare la stessa fine”, rivela in primo piano il suo volto fiero, gli occhi come diamanti.
Straordinariamente vulnerabile e indifesa, la Abramović intraprende un percorso impressionante – restituito con una naturalezza cristallina -, tra sciamani e guaritori spiritisti, sacerdoti Orixas e comunità religiose. La sua voce accompagna rituali catartici e incredibili operazioni sul corpo senza che l’altro provi dolore, opera del medium Joao De Deus; di bevande allucinogene da bere in mezzo alla foresta, per risvegliare la coscienza ed entrare in contatto con il proprio vero Io.
Niente, in questo documentario, suona stonato o sensazionalista. La Abramović si muove in eterno bilico tra essere se stessa e essere un’artista e le due figure si sommano, in una doppiezza magica – mentre si è ipnotizzati dall’effusione di scenari dove la materia si dissolve, per aprirsi ad altre dimensioni. Una terra stralunata, il Brasile, esoterica e mistica, dove la danza e la musica ancora sono veicoli per uscire dal corpo, abbandonare la terra, avere fede nell’impossibile. Gli incontri più assurdi, ma reali, si susseguono come onde del deserto, placidamente, in grado di cambiare qualche parte nascosta dello spettatore. E se l’intervista con una levatrice analfabeta che ha messo al mondo 18 figli e ne ha allevati un centinaio, con il dono della conoscenza in medicina naturale, ci appare inimmaginabile, affiora il senso intimo del viaggio: scoprire il proprio scopo nella vita.
Alla Abramović era già stato predetto da una sciamana, che il suo destino sarebbe stato aiutare le persone a superare il dolore. Proprio nel finale si apre la sua riflessione più bella. La natura è di per sé un’opera d’arte, non chiede nulla. Le città, sì, hanno bisogno d’arte. Le città inquinate, violente, dove ci sentiamo soli. The Space In Between fa sentire meno soli. Imperdibile.