
Di volgarità e immagini spinte nel mondo del cinema, ne vediamo tante, più o meno crude. Anche di film in cui si parla di uccisioni, di stupri e via dicendo, se ne parla molto, nel bene e nel male. Eppure Morituris (2011), di Raffaele Picchio, è stato censurato nel nostro Paese perché trattasi di“offesa al buon costume”. Dopo averlo visto, mi sono chiesta, per quale motivo. Fin dai primi thriller/horror italiani, come ad esempio Reazione a catena, o L’aldilà. E tu vivrai nel terrore, oppure Profondo Rosso, di sangue ne scorre a fiotti, di scene di violenze esagerate ce ne sono state molte, eppure sono rimasti nella storia del cinema italiano, nonostante qualche naso storto. Morituris si rifà, oltre chead influenze straniere, a questa tipologia di film, ammirata in altre parti del mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, che spesso imitano o celebrano il nostro stile, o per meglio dire, prendono spunto da quelle trame e quegli schemi tipici dello splatter italiano. A volte si ha l’impressione di non apprezzare fino in fondo le capacità e il talento dei nostri giovani registi, a volte per i loro film low-budget, o perché i loro lavori appaiono troppo amatoriali, a volte semplicemente perché si preferisce dare credito a quelli che conosciamo meglio e che hanno già una certa importanza.
Il caso di Morituris è interessante da questo punto di vista. Il budget era decisamente buono, sia per il tipo di tecnologie che per la qualità della troupe e del cast, perciò la professionalità tecnica generale c’è e si vede. Il motivo della censura è stata l’eccessiva violenza nel film, ma forse la verità è che ciò di cui Raffaele Picchio e i suoi hanno parlato in modo così diretto e cruento, è qualcosa che incute talmente tanto timore che si preferisce non parlarne né mostrarlo. La cosa mi stupisce molto, dato che come dicevo poc’anzi, il gore è qualcosa che attrae più o meno tutti, indiscriminatamente. Recentemente è uscito il film Tulpa, dove le tematiche principali sono anche lì il sesso e la morte e vi chiedo di mettere a confronto i due lavori e di riflettere su ciò che il mercato preferisce vendere, ignorando film come quello di Picchio.
La trama è semplice: Roma, 73 a.C. Spartacus è alla guida di 200 gladiatori che hanno deciso di ribellarsi alle condizioni disumane a cui li costringe la città. Durante la rivolta, alcuni di loro impazziscono, mettendo in atto stupri, rapine e violenze di ogni tipo. Spartacus li punisce con la morte. Ma dopo un episodio di pedofilia, le anime di quei feroci gladiatori si risvegliano seminando altro terrore e morte. In questi temibili colossi si imbatteranno un gruppo di ragazzi, che cercheranno di sfuggire alla loro sete di sangue. Ammirevole in questo film è senza dubbio, l’impegno nel mostrare il sadismo e tutte le perversioni che possono essere presenti in alcune persone disturbate. Tutto sommato però le scene non sono paurose di per sé, ma hanno il puro scopo di disturbare, senza però disgustare lo spettatore e questo dimostra una sapienza in sceneggiatura e in regia non indifferente.
Una curiosità: il film è ispirato al noto Massacro del Circeo, del 1975. Da qui il regista, riesce a lanciare una dura frecciata alla borghesia media o altolocata che crede di poter far tutto ciò che desidera pensando di essere intoccabile. L’unica pecca tecnica, a mio avviso è la fotografia, troppo buia nelle notturne, cosi che a volte non si riesce a distinguere bene l’ambiente e le sagome. Un plauso va alle tavole dei titoli di testa e loro animazioni, a cura di Alessandro Gatto e Stefano Cocca, agli effetti speciali di Sergio Stivaletti e all’aspetto dei gladiatori, ideato e curato da Tiziano Martella, che oltre ad affascinarci per la mimica (non parlano mai, ma agiscono decisamente molto) e la loro ferocia, riescono ad avere un enorme impatto visivo. Forse c’è ancora una speranza di rinascita in Italia, per il cinema horror.