
[rating=5] Harold Pinter, nella trilogia Memory Plays del regista Dario Marconcini, è riproposto con purezza, rassegnata intimità . La stessa che anima ogni essere umano in cerca di una ragione di vita, una spiegazione a eventi casuali, incomprensibili. I testi del drammaturgo londinese – Premio Nobel per la Letteratura – sono ricchi di insidie per ogni attore e attrice non all’altezza di uno stile riconducibile al teatro dell’assurdo, che piomba di colpo nel buio dell’esistenza.
Ma Giovanna Daddi, in scena con il marito Marconcini e con il bravissimo Emanuele Viterbi, interpreta magnificamente le tre opere di Pinter. Brechtiana, straniante, inarrivabile, quest’attrice possente pare attraversare con la voce i corridoi dell’inferno, modulando le tonalità  con indicibile maestria. Una presenza quasi immobile sul palco, la sua, voluta dalla regia statuaria, ma dal moto impercettibile – come la rotazione terrestre. Una recitazione infuocata, poi placida, che la trasforma in una poetica “samurai”, in grado di fare a pezzi le emozioni. Ogni suo movimento netto, ma impetuoso, si scontra con le parole del testo, in un lungo, accecante silenzio.
Proprio Silenzio (opera del 1969) è il primo spettacolo della Trilogia, un coro a tre voci sul dramma della solitudine e di memorie decomposte. Segue il breve Notte (1969), dove Daddi e Marconcini si plastificano in un quadro soffuso, soffio d’amore annebbiato, dove i ricordi non combaciano. Infine vi è Voci di famiglia (1981), dove le lettere mai scritte tra una madre e un figlio, la perdita, l’abbandono e la depravazione scatenano un affetto che diventa odio. Dal fango e strade desolate, bevute eterne e una tristezza priva di contorni, nasce un’opera dove la vita e la morte acquistano un nuovo senso, pur nell’apparente informe.














