
Una stanza da bagno decadente: lavandino, specchio, finestra ed un mastodontico water bianco al centro della stanza. Questo è l’habitat grottesco allestito sulla scena del Teatro Era per la prima regionale di Giù, nuovo spettacolo teatrale dell’affermata Compagnia Scimone-Sframeli.
Mentre il Padre si taglia la barba, dal water sbucano uno alla volta tre personaggi: il Figlio, Don Carlo e Pasquale, il sagrestano. Il Figlio denuncia al padre il suo malessere verso un mondo, quello del Padre, che si è disinteressato del suo avvenire, facendolo finire giù, nel cesso, a causa degli errori e dell’indifferenza del Padre. Don Carlo invece è un prete scomodo, nelnonsense che non vuole più stare comodo, dietro la sua falsa veste di padre spiritualmente corretto si cela infatti un meschino, come quella parte della Chiesa che ha nascosto gli abusi subiti da minori per opera di preti pedofili. Come le molestie subite per anni da Pasquale, il sagrestano, il quale non ha mai trovato il coraggio di “suonare le campane”, di urlare gli abusi che fin da piccolo ha dovuto subire dal vecchio parroco. Giù, in fondo al water, i personaggi si liberano, riescono a trovare il coraggio, la forza per denunciare una società corrotta, disumana e putrida come una grande cloaca a cielo aperto.
Ottima prova corale degli attori che sotto la fine regia di Francesco Sframeli, in scena nei panni di un magistrale Don Carlo, mantengono alto il ritmo e di conseguenza l’attenzione del pubblico. I colori dei caratteri, accentuati da una recitazione surreale e suadente, conquistano la scena controbilanciando la staticità dell’azione.
La pungente drammaturgia di Spiro Scimone, surreale e in parte beckettiana (il gabinetto ricorda i bidoni di “Finale di partita”) è un connubio di provocazione, minimalismo e assurdo, in perfetto equilibrio tra il dramma e la commedia, generatrice di un riso mistificatore e amaro. Una varietà di doppi sensi e metafore sul declino dell’umanità, scandita da battute rapide, asciutte, tal volta ripetute, senza finire in luoghi comuni, dipanano il racconto che scorre veloce fino al termine.
Il finale non lascia speranza di risalita a breve, ma la consapevolezza che dentro quel cesso ci stiamo tutti, e ci dovremo stare un bel po’, tra sogni spezzati e beffe subite da una società infetta, che toglie l’aria, che schiaccia l’individuo fino a farlo strisciare giù, nel più infimo e abietto dei posti. Prigionieri scomodi di una maleodorante epoca, non ci rimane che attendere lo scarico del water e sperare in un’emersione collettiva.
Siamo tutti in una grande cloaca…