“La prima regola della coppia, deve essere aperta solo da una parte…”

[rating=4] Il legno viene percosso e agitato, si flette per un istante e subito torna nella sua posizione originaria. I colpi dell’uomo sulla porta non possono niente contro il chiavistello chiuso dall’altro lato. Il suo sguardo si intrufola nella serratura, le sue parole solcano l’aria e si insinuano nelle intercapedini per arrivare alla donna che si trova dall’altra parte, nel bagno. Questo è l’inizio dello spettacolo “Coppia aperta quasi spalancata” al teatro Dehon di Bologna con Francesca Bianco e Antonio Salines, per la regia di Carlo Emilio Lerici.

Antonia è esasperata dalle innumerevoli scappatelle del marito e ha deciso di farla finita, ma non è la prima volta! “Se c’è una cosa che mi secca del salvataggio è la lavanda gastrica”. Il testo è scoppiettante fin da subito, il marito si preoccupa della salute della moglie forse al solo scopo di non avercela sulla coscienza: “fai almeno un rantolo così capisco a che punto sei” per chiamare l’ambulanza.

L’idea dell’uomo è semplice quanto geniale: avere una coppia aperta, così da poter soddisfare più esigenze in una volta sola, avere altre donne e mantenere lo status quo con camicie stirate e cena pronta tutte le sere. Il “collezionista della scopata” porta tranquillamente le sue conquiste a casa, la moglie remissiva le accoglie come può (“non vi ho ancora mostrato la vostra camera da letto”). Per capire come sono interconnesse fra loro le frequentazioni della casa ci vorrebbe una “lavagnetta con accoppiamenti tipo albero genealogico”. Antonia è sopraffatta, ingoia e somatizza, finisce per cercare le attenzioni del marito perché in fin dei conti lei è ancora “la moglie in carica”. Lui si difende dicendo che nessuno lo comprende, che non prova niente per le altre perché “se ti dico che c’è del sentimento ti incazzi ancora di più”. L’uomo e la donna sono due stereotipi, l’uno è il porco alla ricerca della ragazza più giovane ed avvenente, l’altra è la vittima, in attesa del principe azzurro.

Franca Rame e Dario Fo, autori e primi interpreti di questa commedia scritta nel 1983, colorano una vita di coppia a tinte alterne: dal grigiore dei sentimenti (“Mi ami?” “Ho una grande stima” “ah beh allora!”) al nero del finto suicidio, fino al rosso della rivincita della donna che si conquista anche lei un uomo. L’Antonia di Francesca Bianco si rivolge direttamente alle donne e alle mamme in platea, ci fa riflettere e ridere delle sue disgrazie, dei suoi dubbi, delle sue ansie, ci fa schierare totalmente dalla sua parte contro quel marito menefreghista e opportunista, oscillando con leggerezza fra rassegnazione e desiderio di rivalsa. Salines dal canto suo è una buona spalla, accompagnando i monologhi di lei con un ottima presenza scenica, pur non risparmiandosi frecciatine molto divertenti che rasentano il paradosso. Si nota molta intesa fra i due e di sicuro aiuta il fatto che sono marito e moglie anche nella realtà.

Coppia aperta quasi spalancata

La “masochista patentata” finalmente supera le reticenze iniziali e conosce un uomo. Ovviamente il marito non dimostra appieno tutta la sua comprensione ma anzi non può sopportare nemmeno una piccola stilla di quel dolore che ha fatto bere a sua moglie per anni.

La regia risulta quasi invisibile, dato che scenografia e testo sono quelli originari, ed i due attori sono perfettamente a loro agio sul palco, senza sbavature. Un testo divertente e pieno di battute forti per i giorni d’oggi, figuriamoci per i bigotti anni ‘80. La forte connotazione femminista del punto di osservazione fa protendere per un’autrice piuttosto che un autore, ed infatti Dario Fo, in occasione del funerale di Franca Rame, affermò che questo testo è “il nostro lavoro che ha avuto più successo e l’autrice unica è stata Franca. L’ho sempre tenuto nascosto per gelosia”.

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