“Intervista” d’autore al Fabbricone di Prato

Sottile e profonda ironia per lo spettacolo tratto dall’opera di Natalia Ginzburg

Tratto dall’omonimo romanzo di Natalia Ginzburg, “L’intervista” è uno spettacolo piacevole, divertente e ben costruito, che ripercorre i cambiamenti di 4 personaggi in 10 anni di vita vissuta dal 1978 al 1988. Sullo sfondo, attraverso le loro vite, si percepisce il cammino della nostra Nazione, che come i personaggi in scena perde quel sogno di miglioramento.

In realtà i personaggi sulla scena, che alternano battute cadenzate a ritmo di musica, sono solo 3. Il quarto personaggio, Giovanni Tiraboschi, non si vede mai, ma attraverso i racconti e gli aneddoti della compagna, del giornalista e della sorella minore, appare in maniera nitida ai nostri occhi, ed è la vera presenza scenica di tutta la pièce. E’ lui infatti, invisibilmente e involontariamente a muovere i fili del legame nato tra i personaggi che si dipanerà nei tre quadri dello spettacolo.

E’ il 1978 e Marco Rizzo, un giovane giornalista, parte da Roma per andare ad intervistare in un paesino della campagna toscana Giovanni Tiraboschi, uno dei più grandi intellettuali dell’epoca, di cui Marco è ammiratore. Pensa di aprire il primo numero del suo settimanale, l’Ariete, proprio con questa intervista. Arrivato alla villa di campagna, Marco si imbatte in Ilaria, convivente del Tiraboschi, una donna annoiata e triste, e in Stella, sorella minore dell’intellettuale. Del Tiraboschi nemmeno una traccia, è dovuto partire. Con questa mancata intervista, si apre tra Marco e Ilaria un dialogo che va oltre il superfluo e sprigiona profonde confessioni personali su paure, sogni e ambizioni. Tra loro fa capolino Stella, che con la sua giovane età e un pizzico di disinvoltura femminile incanta Marco.

Nella seconda parte della pièce, il giornalista ritorna dopo un anno e cinque mesi nella casa del Tiraboschi sperando nuovamente di riuscire ad intervistare l’intellettuale, questa volta per un mensile che sta per uscire. In questo tempo trascorso sono cambiate varie cose per il giornalista, che racconta il suo amore per Stella e la loro storia interrotta bruscamente dalla sorella del Tiraboschi. Ilaria invece è sempre là, seduta sulla stessa poltrona logora e poco in lei è cambiato, tranne i suoi sogni che sembrano svaniti. Anche in questa visita Marco non riuscirà ad intervistare il Tiraboschi, dovuto uscire improvvisamente e follemente innamorato di una giovane interprete, come gli rivela Ilaria pronta a fare le valige per lasciare il compagno.

Nella terza parte dello spettacolo siamo nel 1988, sono passati dieci anni dalla prima visita e Marco Rizzo trovandosi in zona per lavoro decide di visitare nuovamente la casa, mosso forse dalla curiosità di constatare quanto è accaduto di Ilaria, Stella e di Tiraboschi. Troverà Ilaria povera in canna, ma stranamente affaccendata. Il Tiraboschi è preda di una forte depressione provocata dall’abbandono della giovane amante, si è rinchiuso nella sua stanza e non esce più, ormai è stato dimenticato da tutti e i suoi libri sono pressoché introvabili. Marco, invecchiato, racconta che ha cambiato professione e ha raggiunto il successo nel mondo della televisione. Si scopre che è rimasto vedovo ed è stato sposato con la giovane ex-amante di Tiraboschi. Riappare anche Stella, divenuta adulta e felice, che va a comunicare al Tiraboschi che c’è un giornalista che molti anni prima l’avrebbe voluto intervistare. Inaspettatamente Tiraboschi si dichiara disponibile a concedere l’intervista a Marco. Anche se non più giornalista e non molto convinto, dopo varie insistenze delle donne di casa, Marco sale le scale e bussa alla porta dell’intellettuale per fargli l’intervista.

I tre attori si muovono bene sulla scena, riuscendo a trasmettere allo spettatore gli stati d’animo dei loro personaggi, nell’evoluzione scenica che porta dal sogno all’amaro risveglio. Azzurra Antonacci esprime una buona timbrica vocale e con movimenti corporei che richiamano sempre alla sfida, interpreta l’adolescente sorella minore di Giovanni Tiraboschi, arrogante e cocciuta.

L’esperto e bravo Valerio Binasco, nel doppio ruolo di regista/attore, dà vita alla figura di Marco Rizzo con un’interpretazione eccellente e piacevole, ricca di piccoli gesti e atteggiamenti che colorano e rendono vivo il suo personaggio ingenuo e maldestro senza mai cadere nel cliché. Raffinata e sensibile l’interpretazione di Maria Paiato, che magnificamente porta in scena la compagna frustrata e fragile dell’intellettuale. Tra lei e Binasco si accende la scintilla del teatro, con dialoghi e battute serrate che fanno da contrappeso alla staticità dell’azione.

Ottime le scene di Antonio Panzuto, che con una scenografia essenziale evoca il luogo e ricrea l’ambiente del vecchio casale di campagna malandato dove spiccano due porte e tre scale, che producono quel giusto movimento lasciando spazio e respiro alla contemporaneità dei dialoghi. L’immobilità della scenografia e della vita dei personaggi emerge dagli oggetti immutati durante le tre scene, soprattutto è espressa dalla vecchia e logora poltrona dell’intellettuale, che come lui stesso porta i segni di un’esistenza greve, ferma, ormai quasi del tutto passata.

Uno spettacolo emozionante, dal quale non si può che rimanere conquistati e incantati. I profondi dialoghi scritti con grande esperienza dalla Ginzburg, fanno riflettere sulla capacità del tempo di sgretolare e annientare i sogni umani, dei quali si conservano solo le ferite inferte sull’anima.

Il coupe de theatre finale, con l’intellettuale che decide di rilasciare finalmente l’intervista all’ormai ex-giornalista, ritrasmette gioia e speranza, come se per ogni errore fatto durante la vita, ci sia ancora la possibilità per rimediare e forse da esso ripartire.