Petit Cabaret 1924, l’arte circense pura e umanissima

lo show d'altri tempi incanta folle di nativi digitali e non solo a Villa Bonelli

Romeo Matteo Zanaboni, "capocomico maestro di cerimonie" di Petit Cabaret 1924.
Romeo Matteo Zanaboni, "capocomico maestro di cerimonie" di Petit Cabaret 1924.

Ci sono esperienze che il nostro tempo non può più offrire. Non nella dimensione in cui sono nate almeno. Il Circo ne è un esempio. Non è scomparso del tutto, ma si è trasformato, adattandosi al contesto moderno e in qualche caso epurandosi della presenza degli animali. Non rinuncia invece mai alla formula della coralità performativa, sotto quel tendone dei sogni così caro alla visione felliniana, che sembra gonfiarsi quasi respirando dalla terra, dopo essere planato, come un’enorme mongolfiera, da chissà quale pianeta.

Così lo raccontava il maestro nel “realismo onirico” negli anni ’70, intervistato da Minà con Nando Orfei e non è difficile capire perché ne avesse subito il fascino. Il fatto è che l’arte circense, nella sua più ampia accezione, appartiene profondamente al tessuto culturale umano e anche solo immaginare un momento storico in cui un bambino qualunque non ne avrà più alcuna memoria, è uno scenario tristissimo. Ecco perché quello che fa Petit Cabaret 1924 è qualcosa di unico e prezioso che merita di essere celebrato in questa sede.

Incontro quasi per caso questa realtà a Villa Bonelli, nell’ambito della manifestazione “Sciapitò – Il circo del teatro”, festival diretto fa Dario Aggioli, arrivato alla sua terza edizione, promosso dal Consorzio Altre Produzioni Indipendenti, con il sostegno del Comune di Roma e Zètema Progetto Cultura. Ma non è un caso dopotutto che non abbia avuto notizia di questa iniziativa prima, già perché qui si parla di “teatro a chilometro zero”, pensato in prima istanza per essere letteralmente portato al pubblico di quartiere, con la precisa volontà di riqualificare una villa storica, riscoprendone il valore soprattutto come luogo di aggregazione. Una cosa stupenda. Mi spiace solo appunto di non abitare a Portuense, zona peraltro da riscoprire.

Su invito di amici entro quindi nel “Chapiteau” (italianizzato Sciapitò appunto), la tenda da circo rotonda, all’interno della quale vengo improvvisamente catapultata negli anni ’20. C’è una piccola postazione musicale con una batteria e un microfono dall’aria vintage e tutto lo staff che ci fa accomodare sfoggia splendide mise da ruggenti twenties. Ci sediamo, ci offrono spumante in calici multiformi e perfino dei cioccolatini dalla carta dorata da un’adorabile alzatina. Aprirei a questo punto una parentesi sulla bellezza feroce delle alzatine, ma desisto. Insomma ci accomodiamo in circolo ed è già una cosa assolutamente inusuale trovarsi faccia a faccia con gli altri spettatori, molti sono bambini, che trovano posto su minuscole sedioline di paglia, la cui presenza è un’attenzione tenera e speciale.

Si comincia. Dopo essere stati brevemente intrattenuti dalla sfera danzante di Francesco Gottardi, compare il Direttore, maestro di cerimonie, capocomico “Romeo” (Romeo Matteo Zanaboni Dina) che ci presenta lo spettacolo, ci racconta la sua storia. È un atto collettivo, di prezioso focus, attenzione ritrovata nei dettagli, che ci invita a perderci nello show, resistendo alla subdola tentazione di filtrarlo attraverso lo schermo di un cellulare. La musica ci accompagna, prendendo per mano le parole di Romeo, primo a esibirsi in numeri di giocoleria pieni di allegra purezza. Alla batteria c’è il virtuoso Fabio Fenati “Fax”, il cui look primo novecento si ibrida perfettamente con la capigliatura sparata da anni duemila e un paio di occhiali che non passano inosservati.

Yorik c'è, l'equilibrista del Petit Cabaret 1924.
Jorik c’è, l’equilibrista del Petit Cabaret 1924.

La voce meravigliosa che lo segue è invece quella di Paola Li Vecchi (che scopro essere pure trapezista), la quale regala alle orecchie più attente e raffinate, o semplicemente non più giovani come le mie, pezzi da grandi intenditori fra i quali “Oci ciornie”, “Occhi neri”. Meravigliosa poesia dello scrittore ucraino Yevhen Hrebinka, portata però al successo da un pianista italiano naturalizzato inglese: Adalgiso Ferraris e in parte ripresa da Francis Lai nell’omonimo film con Marcello Mastroianni. A sua volta tratto da un racconto di Checov. Già solo tutto questo dieci punti. Ma non si divaghi. Lo spettacolo prosegue. È la volta dell’acrobata e giocoliere Stefano Papia, che ci regala prodezze in combo con Romeo, ma anche in solitaria, con i suoi volteggi nel Roue Cyr, grande anello circense ispirato, si dice, dall’uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci.

Si esibisce poi, ancora una volta con un cerchio, stavolta aereo, anche la bravissima Gaia Pascolo, che strega le pupille ardenti dei più piccoli, ma anche di noi adulti, mentre ammirati la osserviamo praticamente danzare nell’aria. Ma è sul finale che Petit Cabaret 1924 ci riserva la sua perla: Jorik c’è, un’ equilibrista decisamente sopra le righe (manco a farlo apposta), che alterna intrepide passeggiate sulla fune a una comicità irresistibile. Il suo numero è la ciliegina sulla torta, un momento vero di teatro (di quelli che non vedevo da tempo) innestato sul talento fisico: funambolismo, battuta brillante, presenza scenica assoluta. È lei la “Stella del Petit”, come leggo dalla sua pagina online, acclamata in terra natia come la “Tigre di Bologna”, ma apprezzata pure come artista internazionale, esibitasi già in 3 continenti… Mica male!

In conclusione, ho assistito “solo” uno spettacolo di Circo? Assolutamente no, qui signore e signori si tratta di “arte varia”: musica jazz, charleston, swing, cabaret, varietà, performance aeree e molto altro. Già perché Petit Cabaret 1924 si avvale di artisti diversi a giro, i quali rendono ciascuno spettacolo unico, abbracciando idealmente tutti gli spettatori dentro il tipico chapiteau a strisce, al cui interno si riproduce l’atmosfera dei locali delle cosiddette “années folles” parigine. Il pubblico è in qualche modo parte dello show e deve rispondere alla chiamata, con la tacita promessa di uno sguardo libero da pregiudizi. Una cosa che semplicemente non avete mai visto e per questo, almeno una volta nella vita, sarebbe opportuno inserire fra le proprie fruizioni artistiche. O meglio, fra le proprie esperienze.

Si esce quasi a malincuore da questo piccolo mondo antico di luci soffuse e magia, che chiosa con Romeo nei panni di un redivivo Totò-pagliaccio, il quale ne “Lo spettacolo più comico del mondo” recita la preghiera del clown, altro momento di altissimo lirismo. Che dire? Cercateli sempre o ovunque nel mondo, perché sono “mobili”, ma hanno pure, per fortuna, un punto fermo a Pavia: l’ “Orango Town”, scuola di circo, area laboratoriale, di residenza, ma soprattutto incontro. Ecco la parola chiave che Romeo-Matteo, ex avvocato reinventatosi artista di strada, esplicita già nella duplicità del suo nome, vero e d’arte. Perché sì, possiamo avere due anime, tre, o più, perfettamente in linea con l’asset dell’essere umano, materia infinita dentro i corpi, conta però che siano sempre in ascolto, pronte al dialogo e al confronto nel modo più autentico possibile.

Petit Cabaret 1924 è un tuffo negli anni ’20, una fra le decadi più ricche dal punto di vista della Cultura, di cui forse abbiamo un po’ nostalgia. In Italia sono gli anni di Viviani, Scarpetta, Fregoli, De Marco, Petrolini, delle dive e sciantose Liliana Castagnola, Lina Cavalieri, Tina Scarano, all’estero quelli di Harry Houdini, Josephine Baker, Colette, Valery… Ma la lista sarebbe comunque lunghissima, a voler citare solo i più grandi.

La bellezza tuttavia della formula ricreata da Romeo Matteo Zanaboni Dina è assolutamente lontana da una banale copiatura. È più l’omaggio verso un universo di istanze creative a cui in pratica dobbiamo tutto quello che è venuto dopo e al tempo stesso un richiamo alla condivisione reale, “dal vivo”, nel senso più profondo possibile. Il fatto che nessuno nel campo del mio sguardo, abbia usato lo smartphone per due ore, è già un fatto singolare e indicativo della qualità e soprattutto dell’eccezionalità offerta da questi artisti.

Tanto di cappello e inchino allora, ancora mille scontri di palmi, incensi e fortune e se avvistate “le petit chapiteau” dalle vostre parti, non perdete tempo e mettevi in fila all’ingresso.