Tre alberghi. Due anime alla deriva

Un'intenso spettacolo scritto da Jon Robin Baitz e firmato Serena Sinigaglia

Dei barattoli di metallo sparsi sul palco plasmano un arcipelago di ricordi e di dolori chiusi ermeticamente ed abbandonati sulla scena. Ad esplorarlo, una coppia, un tempo famiglia, oggi quasi due estranei, Ken e Barbara, isolati dagli affetti e dal mondo, dopo la tragica scomparsa del giovane figlio.

Questo è lo scenario di Tre alberghi di Jon Robin Baitz firmato da Serena Sinigaglia, prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e portato in scena nell’intimità della Sala Fabbrichino del Teatro Fabbricone (sembra un gioco di scatole cinesi) di Prato.

Appartenenti entrambi in gioventù ai Peace corps, un’organizzazione di volontariato internazionale fondata da Kennedy per aiutare i Paesi sottosviluppati. L’aiuto verso il Terzo Mondo vira e muta in business, nella visione ormai accecata di Ken, vassallo di una multinazionale (per la quale lavora come tagliatore di teste), produttrice di una baby formula, un latte in polvere dall’effetto più nocivo che benefico sulle madri africane.

Barbara, moglie devota del marito dirigente, non riesce ad accettare questa drastica trasformazione di Ken, svuotato da sentimenti umani, divenuto implacabile, una diabolica carogna verso un’ascesa aziendale priva di scrupoli. Come una pentola a pressione, la donna finisce per esplodere la sua rabbia durante una riunione delle mogli dei lavoratori. Rabbia che finirà per trascinare Ken verso il licenziamento ed un tragico finale.

La repressione del dolore, causato dalla morte improvvisa del figlio, pesa come un macigno su entrambi i personaggi, portando alla deriva le loro anime e il loro amore, travolti in un vortice di incomprensioni tra fumi di alcool e di tabacco.

Il bel testo incalzante di Jon Robin Baitz, nell’ottima traduzione di Masolino D’Amico, si compone in tre quadri scenici, per tre monologhi (due interpretati da Ken e uno da Barbara) che dipanano una timeline di ricordi e rancori, immersa in due sguardi diametralmente opposti. Si ha l’impressione che gli alberghi del titolo oltre ad essere tre luoghi fisici rappresentino altro, una sorta di stazioni nella vita di Ken e Barbara, che portano drasticamente i due verso la lontananza.

Come scanditi da un metronomo invisibile, tensione e ritmo si mantengono alti per gran parte dello spettacolo sotto l’asciutta regia di Serena Sinigaglia. La scena minimale e i suoi elementi vengono sfruttati appieno dagli attori con trovate evocative, come i barattoli svuotati (dallo sfogo di rabbia di Barbara), contenenti il latte in polvere, che una volta a terra si trasforma in sabbia, riportandoci al Messico, ultimo albergo del viaggio di Ken e Barbara. Buona anche la scelta delle musiche (da Lou Reed a Elvis Presley) che segnano con calore il drastico passaggio tra le narrazioni.

Uno spettacolo intenso e ben recitato dalla coppia in scena formata da Francesco Migliaccio e Maria Grazia Plos, capaci di incedere senza sbavature a ritmo serrato, ma ancor di più di interpretare le tensioni, le insicurezze e le parole soppresse dal dramma, dietro tic nervosi e azioni che si ripetono. Dolore, rabbia e amore permeano una prova generosa che si scioglie, come il ghiaccio in un cocktail di Ben, in una struggente conclusione.

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