Ritrovarsi donna sul palcoscenico

Al Metastasio una commedia “minore” di Pirandello sul rapporto tra attore e personaggio in cerca d’identità

Una striscia di mare, proiettata sullo sfondo del palcoscenico. Il rumore della risacca, incessante, accompagna la discesa negli abissi dei ricordi di una donna, ormai anziana, vestita di nero, che avvicinandosi lentamente ad uno specchio pronuncia le parole: “soffro troppo a vederti recitare”.

Con questo prologo si apre Trovarsi: commedia in tre atti, che Luigi Pirandello scrisse e dedicò all’attrice Marta Abba, sua ispiratrice e amante. Lo spettacolo andato in scena per la prima volta a Napoli nel 1932, oggi è ospite del Teatro Metastasio di Prato, fino a domenica 20 gennaio, con Mascia Musy nell’adattamento dei registi Enzo Vetrano e Stefano Randisi.

Un prologo spiegato nelle note di regia come un continuo del testo: «C’è un prologo, nel nostro spettacolo, in cui Donata, dopo una vita piena di successi teatrali e di solitudine amorosa, scende le scale di un immaginario faro sul mare dove abbiamo recluso Elj, anche lui solo e spezzato, dopo la sua grande delusione. E la visita che la vecchia attrice fa al suo giovane amante le permette di rivivere, tornando giovane anche lei, tutta la storia d’amore».

Una storia che porta a riva molte classiche tematiche pirandelliane, il rapporto fra l’attore e il personaggio, fra la vita interpretata sul palcoscenico e la vita come identità dell’interprete.

Il titolo Trovarsi, deriva dal termine che utilizza Donata quando al termine di ogni spettacolo, nel camerino si rimuove il trucco di fronte allo specchio chiedendosi chi sia la persona riflessa, e rendendosi conto che la sua domanda non trova una risposta, non le riesce ritrovare, dietro la maschera del personaggio appena interpretato dall’attrice, il suo vero volto di donna.
Da qui nascono gli interrogativi filosofici degli amici di Donata, che riconoscendone la bravura si chiedono come lei possa interpretare in scena dei sentimenti senza averne avuta prima un’esperienza diretta, lei che “vive nella scena e non recita per davvero nella vita”.
Non esiste dunque una sola Donata, ma nessuna o centomila, quanti sono i personaggi cui dà corpo.
Seguono l’incontro e l’amore vero con il giovane marinaio Elj Nielsen, che fa nascere in Donata una propria identità, ma anche un nuovo conflitto con le identità dei propri personaggi che riemergono nei suoi più piccoli gesti. Donata decide dunque in accordo con Elj di tornare al teatro, lo fa come prova, mettendo in parallelo sulla scena le due identità di donna e di attrice. Elj, rivedendo sulla scena parole e comportamenti vissuti con Donata nell’intimità del loro amore, non resiste al pensiero che altri possano ricevere quelle manifestazioni d’amore e fugge via prima del termine dello spettacolo.
Donata subito dopo la rappresentazione si affretta per raccontare a Elj di essere riuscita a superare la prova, la propria identità nel terzo atto dello spettacolo ha avuto la meglio sulle identità dei personaggi, il suo animo è finalmente libero. Elj però se ne è andato via senza aspettarla, le ha lasciato un biglietto con su scritto “soffro troppo a vederti recitare”. Donata affranta rinuncia a cercarlo, ma specchiandosi può finalmente ritrovarsi.

Con lo spettacolo Trovarsi prosegue il percorso di Vetrano e Randisi con la drammaturgia di Luigi Pirandello, che anche in un’opera tra le meno rappresentate porta sulla scena i temi dell’essere, dell’apparire e della ricerca d’identità.
La regia è classica, statica, con trovate ordinarie come i cambi scena e le proiezioni, tra le quali quella del palco reale che conduce gli attori su un piano rialzato, ipoteticamente interessante, ma sfruttato miseramente in poche occasioni durante l’intero spettacolo.
Buone le luci, mentre le musiche di scena risultano molto dominanti, alcune fin troppo note e poco originali, dando un effetto filmico allo spettacolo, ma sottraendo corpo alla recitazione, che a tratti affiora a galla in un mare di platealità.

Gran parte dello pièce è un catalogo di cliché e di recitazione di maniera, dove l’intero cast si impegna a far emergere il proprio personaggio a suon di gesti fin troppo reiterati (il ventaglio della contessa), voci impostate e una mimica melodrammatica.
Per scrollarsi di dosso questo genere artefatto dobbiamo attendere l’incontro tra Donata (Mascia Musy) e Elj (Angelo Campolo), che danno respiro e un pizzico di spessore alla narrazione e ai loro personaggi, tendendo sempre verso un uso eccedente di drammatizzazione.
Nonostante la pesantezza che l’accompagna per tutta la commedia, Mascia Musy riesce tuttavia ad evolvere il suo personaggio, facendogli compiere un leggero percorso verso la riscoperta di se.

L’attrice e la donna dell’opera si ritrovano, quello che nel complesso non troviamo in questa messinscena è il teatro e la sua verità.

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