
É difficile fare il professore, oggi, anche lo studente, specialmente se si è adulti e non si ha tempo di studiare per il diploma. Ma farsi una cultura significa anche capire dove vogliamo andare e chi vogliamo essere nella società. La scuola diventa il motore di un agognato riscatto in questa commedia di Veronica Liberale, Che classe, sul palcoscenico per la regia di Marco Simeoli, in scena al Teatro de’ Servi, a Roma.
Divertente, ironica, a tratti irriverente, la rappresentazione ha una trama semplice e lineare dietro la quale si nasconde un messaggio profondo e sempre verde: non bisogna arrendersi, non è mai tardi per capire chi siamo e dove stiamo andando e, soprattutto, tutti possono cambiare e riscattarsi. Lo strumento per questa metamorfosi è la cultura, che parte dalla scuola.
In un liceo romano si organizzano corsi serali per studenti-lavoratori che vogliono conseguire il diploma. L’insegnante, Nora Cosentino de Cupis, la professoressa interpretata dalla stessa autrice, è una sognatrice e allo stesso tempo una donna frustrata dall’eterno confronto con la madre, ricordata da tutti, impeccabile, scrittrice di successo. Decide di insegnare agli adulti, che, in un primo momento a torto, ritiene più motivati dei ragazzi. Si ritrova con una classe di quattro persone: l’extracomunitaria, russa (Alessandra de Pascalis), odontotecnica in patria e badante arrabbiata col mondo in Italia; il ristoratore (Simone Giacinti), che vive l’eterno confronto col fratello preferito; la giovane fashion youtuber (Veronica Pinelli), e il secchione con problemi relazionali (Fabrizio Catarci). Questi ultimi richiamano anche lo schema della “pupa e il secchione”. Sono ragazzi di periferia, apparentemente emarginati perché senza istruzione, che all’inizio pensano di poter prendere il titolo di studio senza faticare. Nora non riesce subito a farsi accettare, si accorge ben presto che gli studenti non hanno voglia di imparare, fino al punto che il suo corso rischia di essere annullato. Accanto a lei una bidella romana (Antonia Di Francesco), molto simpatica e perspicace.
Nella prima parte della commedia, i protagonisti appaiono come reietti e incapaci di risollevarsi dalla malasorte, poi, però, cominciano a sensibilizzarsi, nascono amicizie, in seguito anche amori tra di loro, ed è come se si risvegliassero, se capissero che andare a scuola è la loro ultima occasione. Quella da giocarsi per poter dare una svolta alla propria esistenza. E allora il corso riprende, la professoressa diventa più empatica, più moderna, anche nel vestirsi, si lascia coinvolgere emotivamente e si forma una piccola comunità con valori ed obiettivi comuni.
Gli studenti maturano e anche l’insegnante, che finalmente si emancipa dall’ingombrante figura materna e la manda persino a quel paese! La madre non è più l’esempio inarrivabile a cui aspirare, la perfezione, la giovane donna si forgia una sua personalità e diventa Donna.
Ma prima dell’happy end c’è un elemento noir, ormai di moda nelle commedie contemporanee. Non tutti ce la faranno, qualcuno “si perde per strada” e diventa un narratore onnisciente.
La rappresentazione risulta divertente, la tematica della scuola a teatro è anche piuttosto innovativa, non mancano però i cliché del genere, seppur non ci siano mai cadute di stile, e a volte i protagonisti rischiano di diventare delle “macchiette”.
Buona la regia e discreto il gioco delle luci. L’allestimento e la scenografia sono semplici e mirano all’essenziale. Una menzione di merito anche agli attori, a loro agio nei ruoli “scolastici”.
In scena fino al 22 aprile.