
Tema originale e allo stesso tempo abusato (forse più presente ai talk show che a teatro), fluida la realizzazione, grumosa e sferzante la scrittura di Pedigree. Enrico Castellani di Babilonia Teatri, autore e attore in scena, offre in questo spettacolo un’interpretazione precisa, pulita, scandita, tuttavia non così carica di tonalità, sfumature, colori. La colonna sonora invece, che oscilla tra Elvis Presley e la canzone popolare italiana, interrompe il discorso teatrale e fa da collante alle scene, in un necessario momento di smarrimento, sogno e sola immagine.
Emerge chiara e limpida, in un bel tratto del monologo, l’idea di amore a prescindere dall’orientamento sessuale, punto vibrante della drammaturgia, al di là dell’interpetazione personale o della strumentalizzazione. L’uomo che racconta è frutto di un innesto, di un seme donato a Marta e Perla, due donne unite da un legame vero e sincero. I wuerstel mangiati a notte fonda, i film di Tarantino, i bagni al lago di maggio quando neanche gli svedesi lo fanno, le torte di compleanno, l’affetto dato al figlio descrivono un nido di calore in cui rannicchiarsi e poter crescere, sorvolando il concetto di famiglia normale o anormale.
Ma striscia poi, tra il livore, il sarcasmo, il disorientamento e l’ansia delle parole di Castellani, una sorta di rivendicazione della figura paterna, un desiderio di conoscere, e allo stesso rifiutare di conoscere, il padre. Al paradosso della possibilità di avere sorelle sparse per il mondo (di cui innamorarsi senza saperlo) si unisce il caos interiore, la ribellione e un senso di mancanza, come se l’amore forte delle sue due mamme, da solo non bastasse.
E sarà il pollo, che il padre del suo compagno di scuola allevava, uccideva, spennava e cucinava, a divenire il simbolo dello spettacolo. Un pollo che cuoce in scena e che l’attore mangia alla fine del monologo, seduto su una pacchiana, quanto sgargiante, poltrona che assomiglia a una Harley Davidson.
La mente dello spettatore, durante il finale che sfuma in un playback di Luca Scotton, continua viaggiare sulle contraddizioni della storia appena ascoltata e vista agire.
Mentre scorrono le note. Love me tender, love me sweet.