
[rating=2] Nel 1978 in un’Argentina concentrata sull’imminente “mundialito” si consumava nel silenzio e nel sangue una lenta e lunga repressione da parte degli spietati militari di Videla: milioni di giovani scomparsi di cui si riuscirà a parlare apertamente solo molto tempo dopo, ragazzi ferocemente torturati, uccisi e fatti sparire perché ritenuti, non di rado senza alcuna prova, ostili al “processo di riorganizzazione nazionale”.
Sono solo alcuni dei “desaparecidos”, i cui nomi ci giungeranno troppo tardi nel grido straziante di quelle madri in plaza cinco de mayo, fra questi i rugbisti del club La plata, dall’omonima cittadina marittima detta la “città felice”, ma non in quegli anni, dove una squadra intera veniva poco a poco decimata lasciandone superstite solo Raul Barandiaran che fuggito in Francia ne riferirà la triste vicenda, ma infelice purtroppo anche sulla scena del Piccolo Eliseo, dove il regista Giuseppe Marini ne offre al pubblico romano una versione didascalica e molto autoreferenziale in Mar del plata.
Bravi gli attori, cupa la scenografia, approssimativo il disegno luci, deboluccio il testo che tuttavia l’autore Claudio Fava aveva ben reso nel suo libro, eppure di quella semplicità per nulla eroica ma tanto umana di quei giovani che volevano soltanto giocare la loro partita, di cui s’era parlato alla presentazione, non resta traccia sul palco. Parole a volte troppo forbite, altalenanti a strilli e parolacce messe in bocca ai personaggi, ne fanno infine delle ombre posticce, senz’anima, dalla platea si applaude ma solo per il tema, non certo per come ci è stato raccontato. Zero partecipazione emotiva, molta vacuità, se ne esce per nulla toccati, peccato, già Clementi e Bocaccini con L’ultimo volo avevano fallito nel tentativo di riportare l’attenzione sulle barbarie consumate in quella guerra sporca del Sudamerica, ora un altro buco nell’acqua, sembra che nessuno quantomeno in Italia riesca a darne dignità artistica. Amarezza.