
Il mio primo fulminante incontro coi Bugiardini fu molti anni orsono, in un minuscolo teatro romano ormai decaduto, dove mi trovavo a dirigere l’ufficio stampa. Non avevo mai assistito a uno spettacolo senza copione e temevo, con non poco pregiudizio, si trattasse di una qualche forma di amatorialità di cui potevo fare a meno. Con tutto il sacrosanto rispetto per l’amatorialità, che rappresenta comunque una dignitosissima esperienza, di cui ho apprezzato in più e più occasioni dei lavori. Ma ecco quella volta mi trovavo in questa condizione di superba titubanza.
Quanto a Hitchcock credo di averlo scoperto da ragazzina, con la serie televisiva in cui veniva doppiato da Paolo Lombardi, con quella Marcia funebre per una marionetta che precedeva gli episodi, che è rimasta incastonata fra i miei neuroni assieme al main theme di Pinocchio di Comencini. Come forse del resto è accaduto a una buona fetta di millennials italiani. A me per inciso il genere giallo non piaceva. Però ho visto lo stesso tutta la serie, almeno quella trasmessa in Italia.
E poi che è successo? È successo che ho scoperto l’improvvisazione teatrale e i film di Hitchcock. Due amori nati da iniziali rifiuti, bizzarro ma vero. Negli anni ho così imparato cos’è l’improvvisazione, che grande lavoro, impegno e intelligenza c’è dietro. Ma soprattutto quanto sono incredibili e davvero UNICI, è il caso di dire, gli spettacoli di questa particolarissima forma d’arte. A ciò si aggiungano pure i match di improvvisazione teatrale, che vedo sempre con piacere e che offrono ancora, fra molte sciocchezze falsamente dipinte di creatività, dei veri e propri momenti genuinamente aggregativi. Una cosa questa che voglio sottolineare, perché nello spettacolo dal vivo è merce rara.
Insomma questo piccolo strano amore per l’improvvisazione è proseguito nel tempo e mi ha portata a inseguire qui e lì i Bugiardini, gruppo straordinario di performer che ho potuto applaudire in diverse occasioni da spettatrice. Non ultima per Blue, il Musical totalmente improvvisato che quest’anno tornerà al Brancaccio e che mi sento caldamente di consigliare a chiunque. Insomma è chiaro che sono una fan dei Bugiardini. Per questo scoprendone la presenza al Teatro Belli di Roma per una data secca il 4 gennaio, ho deciso che avrei finalmente dovuto anche scriverne. Ed eccomi qui a parlare de L’uomo che beveva troppo, uno spettacolo dalle atmosfere ispirate al grande regista britannico, poi naturalizzato statunitense, Sir Alfred Hitchcock.
Sì ma quali atmosfere nello specifico? Quale film? Direi tutti e nessuno, a inizio spettacolo infatti Fabrizio Lobello e Giuseppe Marchei in qualità di prologanti chiedono al pubblico in sala di tirare fuori un titolo di Hitchcock, diciamo così un po’ alterato e dopo qualche tentativo una voce nel buio grida: “il chirurgo drastico”. Il gruppo raccoglie la sfida assieme ad altri suggerimenti e spiega infine le regole dello show. Sì perchè L’uomo che beveva troppo è pure un drinking game. Le regole sono semplici, a chi, fra gli attori, durante lo spettacolo verrà offerto da bere, non potrà rifiutare e non potrà uscire di scena finché non avrà finito tutto il drink.

Piccola precisazione, le bevute sono tutte alcoliche. A riprova di ciò, una spettatrice in sala viene invitata a scegliere una bottiglia a caso fra quelle presenti su un tavolo di scena e a testarne l’effettivo grado alcolico. Confermato, non c’è neppure una goccia di innocenza, si comincia. Lo spettacolo è un susseguirsi di gag irresistibili e manco a dirlo bevute continue, tanto che a ogni bicchiere riempito, perfino al musicista (Alessio Granato), il pubblico non riesce a trattenere le risate. Pian piano le battute si fanno un poco biascicanti, gli attori iniziano ad accusare i gradi salienti delle bollicine, ma si va avanti con pistolettate, plastiche facciale a stampo e amori equivoci.
È tutto semplicemente fantastico. Un’ora e mezza circa di show dal ritmo perfetto, mai una debacle, un momento di incertezza, un vuoto. Anzi no, di vuoti in effetti ce ne sono stati anche parecchi, ma solo di bottiglie e bicchieri; testimonio. Fra una scolata e l’altra si ride fino alle lacrime, soprattutto al pensiero che non c’è nulla di studiato, preparato, provato. Certo sento già i maligni mormorare: eh ma ci saranno esercizi preimpostati su cui poi costruire tutti gli show, sicuramente, ma provateci un po’ voi a non perdere mai il filo e reggere uno spettacolo vero e proprio con tutti i crismi del caso, davanti a un pubblico sempre e comunque giudicante. Per me sono dei fenomeni.
Quanto a regia, scene, costumi ecc. non ci sono indicazioni specifiche sull’autoralità, il che mi fa pensare anche qui a un processo di creazione comunitario. Comunque l’abbigliamento, il sound design e le luci (la scena era abitata solo da sedie) erano in perfetto accordo col mood della serata: “film di Hitchcock”, solo un po’ più sopra le righe del previsto. D’altra parte a Hitchcock il teatro piaceva non poco e oltre ai film dove il riferimento è esplicito (L’uomo che sapeva troppo, Paura in palcoscenico, Il sipario strappato) direi che la teatralità è presente in tutte le sue pellicole. Dunque L’uomo che beveva troppo è quasi più di un remake e un omaggio, è una nuova creatura che sospetto non sarebbe affatto dispiaciuta neppure al buon Hitch.
E chiudo questa recensione sugli artisti in scena: Simona Pettinari, Cristiana De Maio, Cecilia Fioriti, Giuseppe Marchei, Andrea Laviola e Fabrizio Lobello. Tutti bravissimi, hanno trasmesso agli spettatori talento e divertimento, un divertimento che si è consumato tanto fra le poltroncine che le assi del palcoscenico. Forse è proprio questo a far funzionare così bene questo meccanismo, il divertimento sia di chi si esibisce che di chi assiste allo spettacolo. Insomma se vi fosse ancora fra voi lettori qualche “titubante”, ceda ogni resistenza all’improvvisazione teatrale, che fa della creazione nuda e senza filtri una delle sue più alte rappresentazioni su palcoscenico. A conferma di quanto scritto, le stesse parole di Hitchcock. Il maestro del brivido affermava infatti che più importante della logica è sempre l’immaginazione. Improvvisare alla maniera dei Bugiardini allora, è una delle forme artistiche più autentiche. E per questo imperdibile.