
Il Teatro dei Sensi Rosa Pristina, diretto da Susanna Poole, nasce nel 2009 come continuum della ricerca iniziata qualche tempo prima a Napoli con il Teatro de Los Sentidos di Enrique Vergas da cui, pur condividendo il linguaggio e la poetica, si stacca per sviluppare un “sentire” autonomo.
Da questa iniziale rielaborazione prende vita la prima opera della compagnia partenopea, dal titolo Le Briciole sulla Tavola, presentata, come si legge sulla pagina della compagnia, inizialmente in forma di studio e di laboratorio e in seguito diventata un vero e proprio spettacolo sensoriale al primo incontro della Red Internacional de Investigación sobre la Poética de los sentidos a Barcellona nel 2010.
Dopo sette anni, durante i quali altri spettacoli sono stati portati in scena dalla compagnia, il Teatro dei Sensi Rosa Pristina ripropone questa prima opera, parzialmente modificata, avvalendosi del suggestivo scenario del complesso monumentale di San Domenico Maggiore a Napoli.
La scena è quella di un luogo indefinito dell’infanzia, in cui ognuno può riconoscere squarci della propria vita incastonati nella memoria come il gioco dell’acchiapparello, l’album dei disegni, il pranzo di famiglia.
Come sempre al centro dello spettacolo c’è l’esaltazione dei sensi attraverso la privazione di quello che ci rende più sicuri e a cui più ci si affida ovvero la vista; lo spettatore bendato può godere della fiction solo ascoltando, toccando, annusando e gustando.
Quello su cui questo tipo di rappresentazione fa leva è il senso di spaesamento dovuto alla perdita momentanea della facoltà di vedere unita al fatto che non si ha idea di dove ci si trovi e con chi, da tale situazione nasce un’amplificazione fortissima di ciò che si vive entro quello spazio ignoto e da qui anche una mano che sfiora la spalla, una voce che parla all’orecchio, una spezia portata al naso creano palpitazioni ed emozioni.
L’anno scorso assistendo ad un’altra performance del TdS Rosa Pristina, Il vecchio fango, molto più elaborato per quanto riguardava lo story telling, avvertii la difficoltà di tenere a bada le sensazioni per mantenere insieme i pezzi della storia che mi veniva raccontata; lo spaesamento era così grande che mi risultava impossibile fare attenzione a quello che succedeva al di fuori di me perché troppo occupata ad ascoltare quello che invece accadeva dentro (qui la recensione completa https://www.fermataspettacolo.it/teatro/il-vecchio-fango).
Sotto questo aspetto Le briciole sulla tavola ripristinano l’antico equilibrio riaffidando tutta la narrazione esclusivamente ai sensi, e il concept alla base dello spettacolo ovvero la nostalgia per i luoghi perduti dell’infanzia, “la riscoperta degli odori e dei sapori familiari, i gesti ripetuti, i suoi delle voci e dei luoghi, il conforto e le inquietudini che suscitano in noi” riesce ad emergere senza essere sovrastato dalla sensorialità ma anzi venendo da essa ampliato, chiarito, rinforzato.
Se questo è un punto a favore della rappresentazione, ci sono sicuramente degli elementi che presentano delle falle: innanzitutto la durata, troppo breve, che interrompe lo spettatore proprio all’acme dell’epifania proustiana provocata da quegli odori, suoni, sapori e creando delusione nel momento in cui viene tolta la benda; poi la riduzione, sicuramente voluta, della presenza umana in un contesto in cui, sentendosi estremamente vulnerabili e un po’ bambini, la presenza dell’altro in quanto persona a cui affidarsi ciecamente (anche in senso letterale) è, secondo me, fondamentale per suscitare emozioni e sentimenti intensi.
Lo spettacolo, per come è strutturato, è comunque di per sé un’esperienza forte che non può lasciare indifferenti e che crea un momento di riflessione e di ripiegamento su se stessi, tuttavia credo che nel riproporre il primo spettacolo, nato come esperimento, ci sia stata una battuta d’arresto rispetto al percorso che poi è stato intrapreso in questi sette anni e che, a mio parere, aveva raggiunto vette molto alte lo scorso anno con Il vecchio fango; un percorso che andava rivisto, corretto e approfondito andando avanti e non facendo un passo da gambero con questo anacronistico e immotivato ritorno alle origini.