
Lo strano spettacolo teatrale dell’iraniano Nassim Soleimanpour White Rabbit Red Rabbit, portato al Piccolo Bellini di Napoli dalla Produzione 369 gradi, è giunto al suo terzo appuntamento; a raccogliere il guanto di sfida è stata stavolta l’attrice Iaia Forte, prima donna della programmazione.
Ho già parlato di questa sorta di esperimento sociale sul palcoscenico lo scorso mese in occasione della perfomance di Daniele Russo, ma è giusto ripetere almeno i nodi cruciali di questa bizzarra opera.
Innanzitutto chi è Nassim Soleimanpour? Un regista, iraniano, nato nel 1981 e costretto dal regime dell’Iran a non poter lasciare mai il Paese. Ma Nassim non è uno che si arrende e allora nel 2010 escogita un modo per viaggiare senza muoversi di un passo: scrivere un’opera che anche senza di lui attraversi il mondo facendolo vivere nel tempo (futuro) e nello spazio attraverso gli attori, sempre diversi, che di volta in volta reciteranno per lui e attraverso il pubblico che starà ad ascoltarli.
Ma la sfida che ogni volta viene messa in scena è duplice: nessuno, a parte gli organizzatori, conosce l’opera ne l’attore ne il pubblico e il regista inoltre non c’è (fisicamente), tutto ciò che viene dato come materiale è un copione che viene aperto nel momento in cui si alza il sipario, da lì sarà un’improvvisazione continua non solo di chi recita, che vede il testo per la prima volta, ma anche per chi è in platea che non sa cosa aspettarsi.
Rispettando la tradizione nonché la volontà di Nassim Soleimanpour, di più non si può dire e persino a noi critici viene dato il divieto di dire quello che abbiamo visto, possiamo solo parlare di quello che abbiamo provato.
Mentre lo scorso mese ero anche io all’oscuro di quello che sarebbe successo sul palco e ho potuto godermelo con l’ingenuità, in senso buono, e lo sbalordimento di tutti gli altri spettatori, stavolta sapendo già a cosa andavo incontro ho potuto assistere allo spettacolo con occhio più critico e osservare meglio la performance di Iaia Forte, un’attrice che non ha bisogno di presentazioni, a cui va riconosciuto il merito di aver deciso di stare al gioco e di seguire le istruzioni, ma non del tutto.
Al di là della sua innegabile bravura e assoluta padronanza del palco, la Forte non è riuscita infatti a contenere la sua personalità e ad amalgamarla col testo; gli errori nell’eseguire gli “ordini” sono apparsi come una resistenza, un non volersi lasciarsi addomesticare.
Mentre Russo, con fare un po’ canzonatorio e farsesco, si è prestato a qualsiasi richiesta, Iaia Forte ha frapposto se stessa tra il copione e il regista, non lasciandosi manipolare sembrando quasi non crederci del tutto a quanto stesse accadendo.
Due sbagli madornali (che purtroppo non posso rivelare perchè svelerebbero parte della trama) hanno inoltre intaccato non poco la storia e lo stesso finale ne è stato inesorabile compresso.
Quella della Forte è stato forse un desiderio inconscio di ribellarsi al regista, potendo stavolta farlo dato la sua assenza, o forse si può bonariamente pensare che anche un’attrice del suo calibro possa aver avuto una defiance dovuta all’ansia e all’emozione. Lo speriamo comunque.
Per il resto, lo spettacolo di Nassim Soleimanpour pone ogni volta nuovi spunti di riflessione e a riascoltare quelle parole se ne coglie sempre una sfumatura in più che fa chiarezza sul tutto.
Mi spiace non potervene parlare più diffusamente perchè le cose da dire sarebbero tante su questa folle macchina teatrale che gira il mondo da quasi otto anni, ma dal momento che non si può e che non voglio infrangere le regole, il consiglio è quello di andarlo a vedere e capire se siete un coniglio bianco o un coniglio rosso.