Le Baccanti di Andrea De Rosa, dai riti orgiastici ai rave party

Le Baccanti di Euripide nell'adattamento e la regia di Andrea De Rosa, con Cristina Donadio e Lino Musella

Il Teatro Stabile di Napoli continua la sua rassegna dedicata alla tragedia greca portando in scena, dopo il debutto di questa estate nell’anfiteatro degli Scavi di Pompei, al Teatro Mercadante di Napoli Le Baccanti di Euripide con l’adattamento e la regia di Andrea De Rosa.

Prima di parlare dello spettacolo in sé, bisogna fare un doveroso preambolo sull’opera euripidea per chiarire al lettore alcuni punti (senza la presunzione di sostituirsi al grande grecista Guidorizzi).

Euripide è cronologicamente l’ultimo autore della triade tragica, la sua visione del mondo, dell’uomo e del divino è lontana dall’acriticità sommessa dei suoi predecessori e anzi tutti i dogmi religiosi e istituzionali valsi fino a quel momento sono da lui capovolti, interrogati e messi in discussioni.

In una tale concezione va considerata l’ultima tragedia scritta da Euripide, Le Baccanti, da alcuni vista erroneamente come il simbolo della sua conversione, un ritorno al divino dovuto all’avvicendarsi della morte; in realtà proprio in questa messa in scena del Dio, il tragediografo demolisce gli ultimi ideali rimasti e spoglia l’uomo di qualsiasi possibilità di redenzione e di conforto.

Al centro della storia Dioniso (Federica Rossellini), dio dell’ebbrezza, del vino, della goliardia, nato dallo stupro di Zeus alla tebana Semele, morta nel darlo alla luce e considerato una divinità minore da suo cugino Penteo (Lino Musella), re di Tebe, che lo esclude da preghiere e libagioni. Per dimostrare la sua grandezza il dio induce alla follia le donne della città che iniziano misteriosi riti fatti di danza, sesso e caccia sui monti.

Il re è disgustato e allo stesso tempo affascinato da ciò che accade e Dioniso gli concede di assistere, travestito da donna, ai rituali femminili. Si scopre presto che quella del dio non è bontà ma desiderio di vendetta: Penteo viene infatti scoperto e fatto a pezzi dalle donne tra cui sua madre Agave (Cristina Donadio) che rinsavita si accorge di aver ucciso brutalmente il figlio di cui le rimane soltanto la testa tra le mani.

Il primo problema che Andrea De Rosa si è posto nel suo adattamento è stato come rappresentare, oggi, il dio in generale e questa divinità femminea, lussuriosa e vendicativa in particolare, da qui la scelta azzardata ma, col senno di poi, azzeccatissima di affidare la parte a Federica Rossellini, una donna, che riesce con estrema bravura a dare vigore e potenza e allo stesso tempo fascino e seduzione a una figura contorta e sfaccettata, “umana, troppo umana” per parafrasare Nietzsche.

Il secondo problema, ma questa ipotesi è mia, è stato quello di riuscire a portare sul palco di un teatro del 2017 i riti orgiastici che si compivano nei boschi duemila anni fa, la soluzione trovata è anche qui felicissima: De Rosa cala le orge dionisiache in una ambientazione da rave party (eccellente opera di Simone Mannino) mostrando, dietro un telo nero in semitrasparenza, corpi nudi che si muovono sotto luci psichedeliche a ritmo di musica techno; creando così un parallelismo riuscitissimo e chiarificatore tra le danze ossesse nei boschi di allora e quelle delle discoteche di oggi.

Lino Musella riesce con particolare abilità a vestire i panni di Penteo, quest’uomo talmente intransigente da risultare ottuso; in bilico tra il disprezzo per quanto sta accadendo e l’inconfessata voglia di cedervi liberandosi dal peso della sua stessa dittatura morale.

Cristina Donadio, nota al grande pubblico per il ruolo di Scianel nella serie tv Gomorra, si riconferma un enorme e indiscusso talento teatrale, conferendo alla sua Agave tutto lo spaesamento di quello che sembra il risveglio dopo un lungo sonno, seguito dalla dolorosa e straziante presa di coscienza di aver ucciso il proprio figlio.

Nel complesso Le Baccanti di Antonio De Rosa riescono nel difficile compito di dare dignità tragica all’opera, di esaltarne il valore brutale e catartico, lontano dagli schemi umanistici odierni, mantenendo quella forza ancestrale che rappresenta, a mio parere, l’acme della letteratura mondiale mai più raggiunto.

Imperdibile nel suo genere, intenso e fuori dagli schemi, è uno spettacolo che merita di essere visto non solo da chi ne capisce qualcosa di tragedia e filosofia greca, ma anche da chi che non ne sa niente e può approcciarlo con l’ingenuità che veniva richiesta agli spettatori millenni fa.