Isola: cronaca di un naufragio annunciato

Prima turbolenta con l'invasione di palcoscenico e tante falle da aggiustare

La ben riuscita edizione 2012 del Contemporanea Festival di Prato si chiude con la prima assoluta di Isola, di Tommaso Santi per la regia di Paolo Magelli, andata in scena il 6 ottobre al Fabbricone. Una produzione tutta pratese, che ha visto il cast allargato della Compagnia Stabile del Metastasio alle prese con un viaggio esistenziale, marcato dopo pochi minuti da l’irruzione sulla scena di Naira Gonzalez volta a bloccare la rappresentazione, che ha inveito contro lo spettacolo dandone giudizi sprezzanti ancor prima di vederlo. Una preveggente? A posteriori direi di si.

Sulla scena sette naufraghi su di un gommone vagano per l’oceano in cerca di aiuto. Tra dualismi politici, religiosi, luoghi comuni e cliché piuttosto grotteschi raggiungono un’isola. Su di essa i rapporti si esasperano, arrivando alle armi, finché miseri non realizzano l’inquietante realtà di esser morti.

La drammaturgia di Santi è ricca di citazioni, battute e sagacia, ma anche di situazioni già viste troppe volte e allusioni così evidenti da far traballare già dopo pochi minuti tutto l’impianto drammaturgico. A vederla rappresentato e ancor di più a leggerla viene in mente un lavoro fatto con le pezze di stoffa, un patchwork, dove Santi da buon pratese ha cercato di mettere insieme caratteri, situazioni e atmosfere spesso dissonanti tra loro e dalle tinte troppo plateali, sconfinando dalla contemporaneità alla prosa, fino alla televisione trash degli ultimi vent’anni, dei reality e delle fiction. Un assemblaggio con falle qua e là che provocano un naufragio in primis drammaturgico.

Anime alla deriva. I sette attori nonostante l’impegno e il rigore tecnico non raggiungono la salvezza, non provocano nel pubblico quella scintilla per mancanza di verità e di coraggio, imbrigliati in un testo e in una regia che offre loro poche chance di sopravvivenza.
L’unico della compagnia che si salva dal naufragio è Mauro Malinverno, attento come sempre a saperci mettere del suo, con mestiere regge il colpo alle falle provocate stavolta dalle restanti interpretazioni inconsistenti e spesso troppo sopra le righe dei compagni di viaggio.

Marinai senza capitano. La regia di Magelli stavolta pecca di troppa sicurezza e non riesce a emozionare e spaziare come era riuscito in “Giochi di famiglia” e “Il giardino dei ciliegi”. La scene del testo tarpano le ali al regista, amante dei grandi spazi, che si vede costretto a far sgranchire i suoi attori solo all’interno di un’isola purgatoriale. E poi le solite identiche scene di nudo gratuite già viste negli ultimi spettacoli, un accenno di biomeccanica, tanta mimica caricata e una recitazione farsesca che raggiunge il lamento. I personaggi spogliati del lavoro di ricerca diventano così maschere, cliché del cliché, mostrandoci ancora una volta tutti i loro vizi e i loro appoggi attoriali, facendo cadere a terra battute da spingere invece verso un pubblico assopito.

Efficaci e d’effetto le musiche di Arturo Annecchino, che accompagnano la narrazione nei lunghi (troppi) giri di gommone. L’isola creata da Lorenzo Banci è il punto di forza di tutto lo spettacolo, richiama il disegno del purgatorio dantesco e la consistenza dell’isola di rifiuti del Pacifico, creando un punto d’incontro tra spiritualità e contemporaneità.

Ancora molte falle dunque da tappare per un lavoro scenico che, visto la sera della prima, appariva un po’ in alto mare e che avrebbe bisogno di essere asciugato. Essendo in programma fino al 28 ottobre, il tempo gioca a favore della compagnia e del regista.

Spero che non ci ricorderemo nei prossimi anni di questo spettacolo solo a causa del fuori programma di Naira Gonzalez che tanto ha fatto discutere e dibattere sulla rete come non mai, e che avrà senza dubbio portato pubblicità e curiosità intorno allo spettacolo. Detto questo non credo che l’invasione di campo sia la maniera corretta per esprimere disappunto o critica verso uno spettacolo, tra l’altro ancora in itinere, sia per il rispetto verso gli attori e il loro lavoro, che nei confronti del pubblico pagante. Ben vengano i disappunti però, che lo spettatore smetta di essere “addormentato”, e si riappropri del ruolo di attento osservatore critico. Mi auguro che il fuori programma della prima faccia da stimolo per tutto il sistema, che inneschi spunti di riflessione su come migliorare l’arte che tanto amiamo, facendo nascere incontri “dopo teatro” rivolti al pubblico: per educare, per migliorare e per abbattere quella parete invisibile che tutti noi del settore abbiamo alzato, finendo per rimanerci intrappolati, come nella più classica delle scene Bunueliane.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here