
Con un linguaggio rapido, senza fronzoli e senza soluzione di continuità tra una battuta divertente ed una risata amara, lo spettacolo “L’amore migliora la vita” (scritto e diretto da Angelo Longoni) fa riflettere, e non poco, su un tema quanto mai attuale e sui pregiudizi più o meno velati che lo circondano, ma prende severamente di mira anche il conformismo e le sue regole sociali.
In scena due coppie “diversamente” assortite di genitori: Marco ed Anna (lui un uomo d’affari arrivista e lei una casalinga) e Franco e Silvia (lui violinista e lei giornalista di moda) si trovano a cena a casa dei primi due per discutere di un problema piuttosto serio che riguarda i rispettivi figli (Edoardo e Matteo, che non compaiono mai in scena, ma sono comunque fin troppo presenti) divenuti maggiorenni da poco. All’inizio i quattro sembrano, e dico sembrano, essere molto civili e dimostrano di avere a cuore solo il bene dei loro cari ed amati ragazzi ma, quando alla fine dei conti, si tratta di discutere della loro omosessualità e della loro volontà di continuare gli studi di moda a Londra e successivamente di sposarsi, ovviamente le cose si complicano assai. Ed è qui che i quattro mettono in luce tutta la loro fragilità morale che diventa al tempo stesso violenza e paura, facendo emergere anche le loro frustrazioni e difficoltà di coppia: si confrontano, ma sarebbe meglio dire si affrontano, si rimproverano e si accusano l’uno con l’altro, per cercare di capire chi e dove sia la vera causa del “problema”; insomma, alla fine si rendono conto di trovarsi di fronte a una scomoda verità, difficile da accettare e da digerire, ancor più dell’arrosto “croccante” mangiato poco prima.
E così si scatenano tutte le possibili ed immaginabili dinamiche tra le due coppie di genitori, fra contrasti e intrecci anche violenti, che però poi diventano complicità, ma anche altro … e magari mentre i due padri si prendono a pugni, le due madri in un giardino dei paraggi si fumano beatamente più di uno spinello.
L’interpretazione dei protagonisti è pregevole: Giorgio Borghetti (Marco) è il capofamiglia tutto casa e lavoro, convinto che basti questo per assicurare il “ben essere” ai suoi cari ed altrettanto convinto che al figlio piacciano le ragazze; Edy Angelillo (Anna) è la mamma chioccia ingenua e dallo sguardo da cerbiatta, educata dalle Orsoline, casalinga disperatissima ed insoddisfatta del suo ménage ormai arrugginito, vittima consenziente della situazione, Ettore Bassi (Franco) è il più freddo e razionale del gruppo, cerca di prendere in mano le redini della questione e in teoria, gli sembra tutto facile, ma poi, all’ atto pratico, diventa un’impresa ardua, Eleonora Ivone (Silvia) sembra la più comprensiva, smaliziata e al passo coi tempi, fuma la marijuana (che il figlio porta a casa!) come ansiolitico ed è favorevole all’ amore “fluido”. Tutti nei loro ruoli sono impeccabili perché riescono a interpretare i lati più evidenti, ma anche quelli più nascosti ed imprevedibili dell’animo umano, passando dalla comicità al dramma, dall’ ironia più pungente alla rassegnazione, dalla trasgressione alla tenerezza di un abbraccio.
Di grande effetto e molto particolare la scenografia (ideata da Gianluca Amodio): quasi un terzo della scena è costituita da un grande velatino e funge da parete chiara che, illuminata dal dietro, mostra ambienti diversi di volta in volta, creando un piacevole effetto cinema.
Il testo di Longoni è intelligente perché non fa la morale, ma ha una sua morale profonda e in un certo senso drammatica, non cerca soluzioni improbabili e impraticabili, ma analizza il difficile “mestiere” di genitori e finisce col riconoscere che i giovani hanno molto da insegnare e poco da imparare dagli adulti troppo spesso condannati, dalla loro ristrettezza mentale, alla pratica costante della finzione e dell’ ipocrisia. Da non perdere nelle prossime repliche.