
Rosso e verde, analista e pazienti, tre poltroncine un quadro alla parete e siamo nello studio di una psicoanalista tutti i mercoledì. Alle 17 c’è Domenico che sulle note di “Piano piano dolce dolce” di Peppino di Capri al check-in dell’aeroporto è folgorato da una simil Ferilli e lo racconta. Ma che gusto c’è a raccontare la storia e il suo perduto incanto se chi ti ascolta fa la ceretta alle parole o se addirittura rimane fredda ed assente? Sarà forse perchè è più facile parlarsi addosso piuttosto che preoccuparsi di farsi ascoltare o raccontarsi veramente?
Alle 18 c’è Gustavo si è lasciato dalla moglie e che problema combattere con le parole quando si aggrovigliano come se fosse un novizio dell’italiano e notevole è la sua bravura attoriale e stiamo parlando di Francesco Ferrucci. Nella vita della pièce egli è avvocato e non riuscire con dovizia lessicale ad arzigogolare un arringa è un problema. Che il suo difficile rapporto con i discorsi non stia nella complicata le dialettica che egli instaura con le donne vuoi che sia l’analista o la moglie come se quella ne fosse inconsciamente una rimembranza?
Alle 19 c’è Aida che con la canzone “Rumore” della Carrà racconta di crisi di panico cui lo stesso famosissimo brano fornisce la soluzione, nella forza in se stessa che la protagonista del brano trova. Ma ad ogni rumore il disagio si rinnova. Se il caschetto biondo fa storia nello spettacolo italiano crea anche il rimedio in questa paziente con “…chissà se va..?”……e la forza per rispondersi : “ ..ma si che va !!!”
E … se all’improvviso la nostra protagonista Laura Nardi, abilissima nei diversi colori che occorre avere nel mestiere della psicoterapeuta Scalisi, improvvisamente incontra problemi con un marito che lascia solo a lei le crisi epilettiche del figlio, deve per correre a recare aiuto al ragazzo, lasciare lo studio in balia dei citati pazienti e sono “grovigli” appunto. Si parlano gli uni sugli altri e le vicende e i casi si intrecciano come alberi di una pineta. E il finale è che appunto per districarsi da questi grattacapi chi resta a guardarli troppo dall’esterno e/o da terapeuta comunque ne è vittima.
E il finale plastico di un testo impegnativo ben diretto da Fredrich Nahas lascierà l’analista spettatrice-protagonista di un groviglio in scena e sul palco dei tre pazienti donde l’applauso sarà ovvio per avere ben rappresentato quanto non sia arduo trovare situazioni simili, nei momenti difficili della vita di ognuno di noi, ancor più quando si vive una dura crisi d’amore.