
[rating=4] Dal romanzo di Michela Murgia, “Accabadora”: successo editoriale targato 2009: multi premiato da un successo unanime sia di pubblico che critica: ha ottenuto nel breve arco di un anno due ambìti riconoscimenti letterari “Supermondello” e il Premio Campiello”.
Due vicende intrecciate di donne e generazioni a confronto con la delicata quanto annosa tematica del diritto all’eutanasia. La vita è un dono che ognuno è libero di gestire o lasciare liberamente, in piena consapevolezza. Spunti correlati alla fede ed alla superstizione, armoniosamente uniti, per un storia dalle mistiche ascendenze: Il velo di Maya è squarciato per sempre magia e miti religiosi si confrontano, apertamente, nell’eterna lotta per conquista della dignità umana. L’adattamento a cura di Tobia Rossi arricchisce la novella di Michela Murgia di toni e accenti dark in chiave burtoniana, e per alcuni aspetti anche rievocanti lo stile surreale delle graphic novel di Charles Addams.
Che cos’è la morte? E’ un gioco da bambini o una finzione. Una filastrocca da tramandare o una fiaba da raccontare ai piccoli nelle notti d’inverno . I mille volti della sorella consolatrice sino all’estrema definitiva funzione, il pietoso balsamo, capace di alleviare le pene di coloro che soffrono gli ultimi istanti di passaggio.
Le radici del mito. La storia “accabadora” non è collegata né ad un luogo né ad un tempo preciso: il persistere di vaghi riferimenti ci riporta alla cultura rurale della Sardegna del 1950.
Nella figura leggendaria “dell’ultima madre” si fondono credenze magiche e oscuri segreti percepiti dalla piccola Maria Listru (ultima e indesiderata di quattro figlie) ed infine adottata dalla burbera e generosa Bonaria.
Amore e matrilinearità. Che cos’è La maternità per una donna? E’ un dono del Cielo? Un istinto? Certamente, per la “vecchia fattucchiera” è un atto voluto e pensato: la ferrea volontà di cercare e crescere una discendenza abbastanza forte di spirito da assumersi la responsabilità dei segreti e della conoscenza custodita nell’arco di un’intera vita.
Maria Listru è un mistero …. È intelligente e petulante ma anche sincera ma, soprattutto non teme l’ombra della morte! La scintilla del vero rapporto, fra madre adottiva e “fillus de anima”, scocca quando la piccola viene colta a compiere, un atto di pietosa crudeltà, nei confronti di un uccellino morente. Da allora è chiaro, sin da subito, la misteriosa alchimia che lega le due donne: Maria è dunque la figlia eletta, mai avuta e sempre desiderata.
Settantadue minuti di esistenza. E’ il tempo che Marcela Serli impiega per sviscerare il senso di un dramma atipico; nato come fiaba e sviluppato in un’articolata tesi a favore dell’eutanasia: conclusione temuta e maledetta ma anche invocata quale atto estremo di pietà.
La partitura di La favola della buonanotte, nell’insieme, è bene equilibrata: ad un incipit – dagli accenti caricaturali e calcato sui toni grotteschi – segue un punto d’attacco ricco ed armonioso. La vicenda prende vita svelando un’ampia quanto interessante gamma di sfumature. Il legame che si crea fra le due donne, è profondo ed è svelato in mille gesti e rituali quotidiani. La struttura in brevi quadri, accompagnata da una colonna musicale suonata dal vivo, conferisce una struttura armoniosa alla pièce e rende l’idea della significativa ellisse temporale intercorsa rispetto agli anni dell’infanzia
La casa stessa estranea e gelida nei quadri iniziali, diventa, grazie alla scelta di scene simultanee, spazio scenico accogliente e percepito nella sua pienezza.
Tutto l’insieme di elementi presenti nello spazio scenico è coordinato da due presenze ausiliarie: Francesco Lori (musiche) e Luigina Tusini. intervengono conquistando, discretamente spazio e ascendente in scena. Il loro intervento rivela percorsi nuovi giungendo a determinare la prossemica stessa degli elementi scenici e dei personaggi.
Scena simultanea apparentemente povera e austera ha il grande pregio di svelare, il suo effettivo potenziale creativo, nel corso dello spettacolo.