Kyoto e Fragile: l’amara poetica di David Greig

[rating=3] Prendete due coppie: uomini e donne persi in una notte infinita, fra angosciosi interrogativi privi di risposta, tic verbali e reciproche incomprensioni. Parlare di relazioni, oggi, è diventato estremamente complesso sopratutto se a farlo è David Greig, figura emblematica del teatro britannico.

Drammaturgo scozzese, classe 1969; Greig è una delle personalità più interessanti e complesse del panorama contemporaneo: accolito della prosa arrabbiata di Osborne e dell’algida incomunicabilità del teatro Pinteriano, la sua produzione ha superato i confini dell’Europa conquistando le platee di Canada, Stati Uniti e Argentina, diventando già un cult.

Racconti incompleti di vita. Short stories di uomini e donne disorientati dal caos delle vita, divorati dall’ansia di riempire i vuoti dell’esistenza, sino all’attimo successivo. Due atti unici stile “off broadway”: adattati da Matteo Colombo, diretti da Vittorio Borsari ed interpretati dalla coppia Silvia Amendola e Alberto Onofrietti, infine prodotti da “Chronos” in collaborazione con pianoInBilico.

Un uomo, una donna e un letto, king size. Lucy e Dan: due poli opposti e un’attrazione mediata dal pragmatismo e dalla naturale, moderna, diffidenza insita nei rapporti umani. Due individui, mediamente soli che s’incontrano, in una notte fatale, per consumare quella passione percepita ma sempre sfiorata nell’arco di una decade.

Dialoghi casuali per rimuovere l’imbarazzo dei momenti di tensione che precede l’erotismo e il colmo del piacere. I toni brillanti in stile “sitcom” conquistano la platea, anche per la disinvolta abilità degli interpreti, ma allentano la tensione e rischiano di limitare la comprensione della pièce, agli aspetti più accattivanti e immediati.

L’incontro fra Lucy, (scienziata polare) e Dan (delegato formale e uomo dalla solida reputazione) ha come leitmotiv una serie di contrattempi e disagi pratici, offerti dall’apparente confortevole opulenza della suite: occasione di scontro – confronto, agre, di due mentalità inconciliabili per egoismi e vizi formali. Sarebbe stato possibile un incontro dieci anni prima? Forse la risposta è un sì, ma si perde in mille supposizioni e ciò che rimane è solo una ridda infinita di ricordi, interrogativi e supposizioni sullo stato della nostra vita e sulla possibilità di offrire una nuova chance a se stessi e al pianeta.

Vittorio Borsari dirige con piglio deciso e brio ma, nel tentativo di rendere graditi e immediati i temi trattati, rischia di perdere di vista lo sguardo complessivo sul testo di Greig. Il senso ultimo è più chiaro e palese di quanto non possa sembrare ma niente è più complesso e inafferrabile della semplicità.

Fragile, ovvero rabbia impotente di chi resta. L’Atto unico, per attore e voce esterna (verosimilmente concepita dal drammaturgo scozzese in chiave sperimentale) che prevede lo sfondamento della quarta parete e l’interazione diretta fra pubblico e attore. La notte eterna di Jack, paziente di un centro mentale, a rischio di chiusura è quella di un uomo fragile e smarrito perché privato delle sue coordinate esistenziali. Caroline (psichiatra e assistente sociale), alfa e omega della sua vita, è l’elemento centrale a cui farà riferimento nel corso del dialogo.

Rabbia e note di umorismo dolente si palesano ma rimangono, a tratti inascoltate dal pubblico, forse più attento a dare la battuta nei tempi giusti, che non ad apprezzare il valore della buona performance di Alberto Onofrietti. Accattivantel’idea della lettura ma dispersiva sul piano percettivo. Spettacolo articolato in due parti, nell’insieme godibile e interessante. Una nota di merito va a riconosciuta al duo Colombo – Borsari per aver svelato, al pubblico dei più, la drammaturgia di un autore complesso e poco noto.

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