A gambe aperte e la parte dei desideri al Teatro Agorà

Fino al 18 marzo a Roma per la regia di Daniele Scattina

“Ho guardato dentro una bugia….” da “Senza parole” di Vasco Rossi si apre lo spettacolo “A gambe aperte”, liberamente ispirato alla pièce di Dacia Maraini “Dialogo di una prostituta con un suo cliente”. Una camera da letto in disordine vestiti di tulle o di lustrini appesi alle pareti, scarpe, calze dismesse e tacchi a spillo, sparsi ovunque; un letto campeggia a sinistra e sedie varie, miste sconnesse anch’esse. “E’ permesso?” chiede lui. “Spogliati” replica lei. No troppo volgare troppo esplicito per lui. Così si smonta. Abito impiegatizio e camicia sbottonata. Egli sposato, e non fa sesso da tempo, lo cerca in una prostituta, ma cerca di più, le sue parole, le sue moine, le sue carezze, i suoi massaggini ai piedi, come quelli che gli fa la mamma. No non vuole togliersi la camicia così brutalmente se non ha avuto la sensazione di essere desiderato, se non ha avuto il piacere che non sia solo un acquisto quel momento di sesso, che non sia solo un momento!

Ella distesa sul letto varie volte usato, in sottoveste e talora vestaglia vuole assolvere al suo mestiere quanto prima, ma più che vendersi vuole acquistare, si lamenta che il petto del cliente sia cosparso di peli irti, che il fisico del suo ospite sia molliccio, come quel qualcosa in mezzo alle gambe che possa rendere giustificata la vendita del suo corpo. Ella non vuole parlare, non lo vuole baciare, non vuole fare l’amore, vuole fare sesso. Intrepida aspetta che finisca il momento che la situazione mette in vendita, scandisce il tempo delle sue prestazioni, lo scattare degli extra. Ella si dice laureata in lettere e psicologia e analizza di lui le parole. Gli dà del democratico non vuole fare sesso con uno di destra ma, insoddisfatta del suo essere campa di quello, purtroppo, e lo rimarca, vuole che i suoi soldi arrivino senza spreco di sentimenti.

Si arriva al momento clou, ma non è sesso. Egli a sedere scoperto, e camicia finalmente sbottonata, che ad esso prelude, offre il mestiere alla prostituta. Tutto è buio, ma il meglio del piacere arriva quando ella inforcato un membro enorme falso, cambia il suo ruolo e il cliente rivela di essere sempre stato attratto dal suo amico di calcetto e di star bene insieme alla moglie pensando a lui per eccitarsi. Ed ecco il ballo della perversione. Ella veste l’abito in tulle bianco, come una sposa rubata, tutto balze di fattura sconnessa anch’esso, luci rosse su di lei, e ghiaccio sul letto, cita di lei, di quel bacio di quella sera come di qualcosa che non aveva mai provato prima. Ma è orrore e sconfitta rivelarlo. Egli lo ha capito, lo sa e vuole che questa clandestinità, come quella, di medesime circostanze, nascosta da suo padre a sua madre, continui per sempre. Le note di “Perduto amore” di Franco Battiato interpretata in questo contesto da Viola Valentino, suggellano l’inversione di un rapporto nato per mestiere, in un momento molto più intenso che cerca reiterazione e durata contro ciò che non è consono né ai due protagonisti, nè alla situazione che ne è foriera.

E con il brano a firma Battiato “La canzone dei vecchi amanti” in una regia dura, precisa ritmata, ma carica di emotivo sentimento, quella di Daniele Scattina e nella recitazione precisa dei due interpreti, Serena Renzi e Romeo Cirelli, fervida in sensazioni di dubbio e turbamento che la situazione di prostituzione crea e trasmette, emerge l’epilogo in scena a voce di lui “Io non posso fare a meno di te, e tu non puoi fare a meno di me” e gli spettatori ne colgono l’essenza e senza molti rallegramenti, perchè il testo noir è diretto agli over 14. La rappresentazione ha fine, ma resta un’interessante riflessione sugli aspetti della sessualità dirompente, ormai cronaca dei nostri tempi.