I cuori battono nelle uova. Tornano a Roma Les Mustaches… Quelli di Ciccio Speranza!

Il gruppo lombardo dopo 4 anni dal palmares del Roma Fringe Festival, di nuovo in capitale con un nuovo spettacolo

I cuori barrono nelle uova - Elena Ferri, Matilda Farrington, Grazia Nazzaro ne "I cuori battono nelle uova".
Elena Ferri, Matilda Farrington, Grazia Nazzaro ne "I cuori battono nelle uova".

Sì son proprio loro, Les Moustaches, la compagnia bergamasca dietro il successo de “La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza“, Miglior spettacolo 2020, Premio della Critica e Premio Fersen al Roma Fringe Festival 2020. Gruppo di talentuosi dal taglio riconoscibile e spesso metaforico che dopo aver fatto incetta di premi teatrali, torna con una nuova pièce: “I cuori battono nelle uova”, in scena al Teatro Belli di Roma dal 12 al 24 marzo, in seno alla rassegna EXPO – Teatro Italiano Contemporaneo.

Al centro del racconto questa volta la maternità, in una continua altalena fra i suoi aspetti più fisiologici e sgraditi e la suggestione onirica di un futuro ancora solo sognato. Un sogno sì, quello dell’attesa, che però è costellato pure da momenti di puro panico per quello che si sta formando nelle viscere umane e che in qualche modo opera silenziosamente un cambiamento inevitabile anche nell’identità stessa della madre.

Ecco allora che dentro i gusci morbidi e fragilissimi in cui si muovono arti minuscoli e ferventi, battono cuori ingoiati, già pronti a esplodere nel gioco della vita. Ma sono pronte piuttosto le madri? Quelle con la “gravidanza delle fate”, prive di spasmi e rigetti, ancora acerbe nel “ruolo”, perse nell’ingenua sconsideratezza di una fugace notte d’amore, oppure quelle stoicamente dedite al perseguimento di questo unico obiettivo di vita, o ancora altre dal passato dolente, ingabbiate negli schemi del sesso del nascituro?

"I cuori battono nelle uova" in scena dal 12 al 24 marzo al Teatro Belli di Roma.
“I cuori battono nelle uova” in scena dal 12 al 24 marzo al Teatro Belli di Roma.

È tutto tremendamente complicato, sovente ancora così ammantato di paura, quella paura che è bene però provare sempre, “anche in un giorno bellissimo”. È un velo la paura, compagna che non ci abbandona mai, ma che possiamo addomesticare. La regia sapiente di Ludovica D’Auria e Alberto Fumagalli sembra suggerircelo, con un continuo rimando di destinazione d’uso del leggero drappo setoso che “veste” la culla e poi le madri. Non c’è un filo narrativo tradizionalmente inteso e neppure una voluta rottura sintattica da postmodernismo, è piuttosto un susseguirsi di quadri, che in qualche modo ci parlano e vogliono essere ascoltati.

Sì le “panze” parlano e raccontano di un mondo interiore fiabesco e al tempo stesso pericoloso, dove eros e thanatos continuano a impastarsi in un involucro incredibilmente precario, ma parimenti carico di forza e mistero. La culla gigante che impera sulla scena è lì apposta a spostarci gli equilibri e a trasformarsi in una nave sbattuta dalla tempesta, dove il pubblico è chiamato in qualche modo a salire, a farsi partecipe di questo naufragio, da cui tutti usciremo letteralmente (ri)nati come il capitano Tom MacWhirr in Tifone di Joseph Conrad. E il potente vortice delle luci di scena gettato proprio in faccia allo spettatore, come la prima violenta fonte luminosa che incontra un neonato nella sua venuta al mondo, ne è una raffinatissima finale allusione.

Ma sono tante le suggestioni evocate e i raccordi possibili anche nel mondo letterario in questo spettacolo. Quasi tutte mi hanno ricordato il mare, dal ventre di balena in cui il burattino collodiano irrompe, per salvare il padre putativo e ottenere una vita di carne, al capodoglio di Melville contro cui Achab ingaggia un’ossessiva e disperata battaglia, mentre il primo ufficiale del Pequod, Starbuck, gli grida: “Moby Dick non ti cerca. Sei tu, tu che insensato cerchi lei!” In fondo non è questa la maternità? La ricerca di un “pieno” nel vortice tempestoso della vita, che spesso sembra piuttosto risucchiarci in un buco nero di vuoti.

Proprio questa tempesta dolcemente terribile è raccontata dal movimento scenico del carillon e dei gingilli appesi che, nel gioco delle ombre, si deformano e allungano sullo sfondo, assumendo forme a tratti paurose, come in una fiaba antica in cui arriva l’immancabile “cattivo”. Le magistrali scene e il disegno luci di Eleonora Rodigari in combo con le pance straordinariamente realistiche di Giulio Morini si inseriscono perfettamente in questa immaginifica cornice di nave-culla, in cui le madri devono affrontare le paure più inconfessabili. Fino all’ultima decisiva prova dello staccarsi letteralmente di dosso un pezzo di sé stesse, che pure non smetterà più di appartenergli.

Ottima l’idea, spettacolo ben costruito, regia fenomenale e che dire della recitazione della triade di vestali biancovestite Elena Ferri, Matilda Farrington e Grazia Nazzaro, ciascuna perfettamente calata nel proprio personaggio, offrono un’interpretazione assolutamente memorabile, calibrata e senza eccessi. Tutto è studiato e limato al punto giusto, manca tuttavia una spinta in più dentro il racconto, che rimane sospeso a metà fra la visione corale e quella individuale, senza riuscire a entrare davvero dentro nessuna delle due dimensioni. Vince tuttavia il teatro, la rappresentazione quasi mistica dentro il quadrato della scena, che aldilà dell’impalpabile messaggio finale, ci trascina comunque dentro l’universo delle paure e delle angosce della tris di madri in divenire. Riusciamo quasi a toccarle, vestirle, comprenderle, perché in fondo sono come le nostre.

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Drammaturgia
Attori
Allestimento scenotecnico
Costumi
Pubblico
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i-cuori-battono-nelle-uova-tornano-a-roma-les-mustaches-quelli-di-ciccio-speranza"I cuori battono nelle uova" <br>Drammaturgia: Alberto Fumagalli <br>Regia: Ludovica D’Auria, Alberto Fumagalli <br>Con: Elena Ferri, Matilda Farrington, Grazia Nazzaro <br>Luci e Scene: Eleonora Rodigari <br>Movimento Scenico: Alberto Bellandi <br>Costumi: Giulio Morini <br>Produzione: Les Moustaches, Società per attori e Accademia Perduta Romagna Teatri