Frosini/Timpano riportano in scena a Roma Acqua di colonia

Al Teatro Basilica una performance metateatrale sulle disastrose campagne coloniali tricolore e un confronto ironicamente durissimo sugli italiani che siamo stati e che forse siamo ancora

Elvira Frosini e Daniele Timpano (Frosini/Timpano) in Acqua di colonia in scena al teatro Basilica di Roma dal 19 al 23 febbraio 2025.
Elvira Frosini e Daniele Timpano (Frosini/Timpano) in Acqua di colonia in scena al teatro Basilica di Roma dal 19 al 23 febbraio 2025.

Ci sono ahinoi molte pagine della storia anche recente del “Belpaese” di cui sembra non essere rimasta traccia nella memoria collettiva. Hanno fatto in questo la loro triste parte compendi scolastici che, pur firmati da illustri penne, lasciavano (quando li lasciavano) in isolati e sperduti paragrafetti avvenimenti storici di importanza fondamentale. È su questi tristi scogli che spesso s’è infranta e tuttora s’infrange lo sviluppo e l’alimentazione dell’esercizio critico delle giovani teste. Non di rado sottoposte alla “tutela” di formatori che ne sono parimenti sprovvisti.

Quando tuttavia i formatori in questione sono invece della sempre più rara stoffa degli appassionati, il loro percorso nel sistema scolastico italiano fnisce per trascinarli in una ridicola corsa a ostacoli, in cui ogni barriera da saltare è sostanzialmente l’acquisto di un titolo. Perlopiù inutile. Risultato sempre meno coscienza, figurarsi quella critica. Elvira Frosini e Daniele Timpano (Frosini/Timpano) coi loro spettacoli sembrano in qualche modo colmare l’imbarazzo di certi vuoti. Almeno su di me hanno sempre avuto questo benefico effetto.

Acqua di colonia in cartellone al Teatro Basilica di Roma dal 19 al 23 febbraio, affronta uno di quei “paragrafetti” dei mei libri di storia, inghiottito da altri fatti “mainstream”: il colonialismo italiano. Ma non quello che tutti più o meno riconosciamo nelle cosiddette campagne d’Africa mussoliniane, quella è come si suol dire solo la punta dell’iceberg. Frosini/Timpano ne ricostruiscono le origini, parecchio più indietro nel tempo, con incursioni nella presunta innocenza di scampoli culturali legati ad Addio sogni di gloria, I vatussi, Topolino, La mia Africa e molto altro.

Pezzi sparsi di “sentito dire” che smentiscono ferocemente l’assunto di “italiani brava gente”, che piuttosto s’è nutrito di luoghi comuni razzisti fin dalla più tenera età, come testimonia il passaggio sui temi scolastici dei bambini a proposito di immigrati. Siamo vasi in cui passa continuamente acqua sporca e il più delle volte non ce ne rendiamo conto. Frosini/Tipano con Acqua di colonia (titolo fu mai più azzeccato?) ci spinge con spinosa ironia e dettagliatissime informazini crossmediali, a guardarlo in faccia invece questo background penosamente inquinato. Il tutto senza smettere di toccare il tasto dolentissimo dell’ignoranza. “Ma sì diamogliele quattro notizie, quattro date, quattro stronzate” sembra essere il ritornello di questo viaggio che batte insesorabile sulla nostrana pigrizia mentale.

Acqua di colonia con Elvira Frosini e Daniele Timpano.
Acqua di colonia con Elvira Frosini e Daniele Timpano.

Già perché ci sono temi che solo l’arte può in qualche modo costringerci ad affrontare. O riaffrontare. Acqua di colonia è in tal senso un perfetto meccanismo di autoanalisi, non sempre facile da digerire, in cui la presenza ogni volta in scena di una persona muta, interclocutore mai chiamato in causa a proposito di se stesso, mi ha letteralmente spiazzata. Siamo stati e siamo tuttora soprattutto usurpatori di voci, ancor prima che di vite e terre. Anche io me ne sono resa conto tardi, in occasione di un esame universitario dedicato alla storia dell’italiano.

Una sezione piuttosto ampia era dedicata alla contaminazione linguistica. Un fatto di per sè spesso ricco di sfumature interessanti, ma nel caso del colonialismo italiano, di cui ancora oggi la toponomastica romana riporta le tristi “glorie”, è stato invece il frutto di un’ostinata rimozione filologica. Un vero e proprio strappo culturale, che ha sovente ricondotto gli occupati a meri indigeni da formare al nuovo idioma del “padrone”. Non faccio mai mistero della profonda ignoranza che ancora mi pervade, ma sono grata di aver avuto l’opportunità di guardarla da vicino. Acqua di colonia è uno di quei momenti umani più che teatrali in grado di offrire questa esperienza.

E chioso con un ricordo personale emblematico, che questo testo è risucito a riaprire nello squarcio talvolta confuso delle memorie infantili. Mia nonna era stata una giovane ragazza durante il fascismo, anche se non ne aveva mai parlato. A lei non era mai importato granché di politica, era stata però una donna coraggiosa e combattiva, nonostante le molte e durissime sfide che la sorte le aveva lanciato. Un giorno triste le fece visita un male insidioso, che minava proprio i ricordi e il linguaggio. Si era ripresa faticosamente negli anni, lasciandosi però indietro molta nebbia e la mia sciocca rabbia bambinesca.

Aveva dovuto reimparare a fare molte cose, anche le più elementari, ma pian piano era tornata in buona parte autonoma. Ricordava ormai poco o niente del suo passato più lontano, eppure ogni tanto, distrattamente e senza sapere da dove provenisse quel motivo incastrato nei suoi giorni di giovinetta, dalla sua piccola cucina in cui non aveva smesso di prepararsi da sola i pasti, la sentivo distintamente mugolare Faccetta nera.