
Con quanta facilità si riesce a trattare nel mondo dell’arte l’amore? Soprattutto nelle sue sfaccettature più idilliache o all’estremo in quelle più violente… Pullulano le espressioni in queste due direzioni drammaticamente opposte. Ma cosa resta nel mezzo? Kant direbbe la verità, la cruda ostinata essenza di un sentimento strano, mai del tutto conosciuto a noi stessi, dove follia e raziocinio fanno a gara per rimanere in equilibrio sul filo dei legami.
Emilia del giovane e talentuoso drammaturgo argentino Claudio Tolcachir parla proprio di questo strano amore, incondizionato e perverso al tempo stesso, dove cinque personaggi provano lo stesso sentimento senza riuscire a comunicarselo l’un l’altro, ma soprattutto senza che l’altro riesca a comprenderlo fino in fondo. Emilia, la vecchia governante immiserita che torna nella casa del suo “Calletto”, ormai uomo di successo, è l’ago della bilancia, lei che nulla comprende, nulla indaga di paura, possesso, ossessione, abbandono che pure vivono in quell’enorme casa ancora in divenire, sarà la cartina di tornasole di quei tanti incompresi linguaggi d’amore. L’anziana tata Emilia (l’immensa Giulia Lazzarini) vive solo di devozione verso il suo pupillo che poco a poco nei ricordi d’infanzia si scopre ancora fragile e instabile, affannosamente in corsa dietro quell’ideale di famiglia perfetta che ha tentato invano di costruirsi. Sua moglie Caro-Carolina (una davvero meravigliosa Pia Lanciotti) già reduce da un matrimonio fallito, è sin dalle prime battute il personaggio più intenso dopo l’immensa Giulia Lazzarini (Emilia), distratta e infelice, con quello sguardo “sorridente senza allegria” che la governante ricorda sospesa in un tempo imprecisato dove passato e presente si intrecciano e si scambiano di posto senza posa.

La bella moglie dall’aria triste e assente (una davvero meravigliosa Pia Lanciotti) ci racconta di un marito fedele ma oppressivo, Walter, magistralmente reso dal sempre bravissimo Sergio Romano, di un figlio, Leo (Josafat Vagni) diviso fra due padri lungo un’adolescenza solitaria e inquieta e di una casa-castello-gabbia affollata di tanti scatoloni che nascondono tutto, dai bicchieri alle camicie, in una dialettica degli oggetti alla Robbè-Grillet dove ogni cosa pensata è diversa da quella reale e da quella che appare.
Lo spazio pieno di troppo è quasi l’estensione di tutte quelle anime rabboccate d’amore fino a farle esondare e la tragedia è già pronta a sguazzarci dentro. Il ritorno di Gabriel (Paolo Mazzarelli), primo marito mai dimenticato di Caro è solo l’ultima goccia, le vite rimaste a galleggiare ritrovano improvvisamente il loro peso, il ménage famigliare è pronto a toccare il fondo. Rimane solo lei, la povera dolce Emilia, pronta al suo ultimo tenerissimo, pazzo e salvifico sacrificio, insano miracolo d’amore. Un gran bel pezzo di teatro, testo ben scritto e soprattutto meravigliosamente interpretato, ottima prova attoriale, azzeccatissima la scenografia, nessuna sbafatura, una pièce contemporanea degna dei nostri migliori ahinoi perduti autori novecenteschi.