
[rating=4] “Ma che freddo fa” in sottofondo, la scenografia ruota e, da una vuota e fredda parete bianca, mostra un giallino interno di casa degli anni ’70: quattro donne predispongono la scena e si siedono attorno ad un tavolo, ovviamente agghindate come a quei tempi, una di esse è incinta. L’inizio dello spettacolo Due partite al Teatro delle Celebrazioni di Bologna, con Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti e Giulia Bevilacqua è interessante, ci fa dare una sbirciatina al futuro (la parete bianca) per poi iniziare la storia indietro nel tempo.
Le quattro protagoniste, con la scusa delle carte, si incontrano ogni giovedì mentre le loro figlie giocano nell’altra stanza. Sofia ha all’attivo un matrimonio fallito, ogni sera mette a letto sua figlia per poi fuggire ed immergersi in una relazione extraconiugale con un uomo sposato; Gabriella ha abbandonato il suo sogno di diventare una pianista per dedicarsi al marito, anche lui musicista e spesso in trasferta, e alla figlia; Claudia finge di ignorare che il marito ha un’amante e si sacrifica anima e corpo per i suoi tre pargoli; Beatrice infine è incinta per la prima volta e non sa cosa aspettarsi dopo la nascita della bambina che le cresce in grembo. Lo spaccato femminile cui si assiste è graffiante: le quattro mamme sono imprigionate nelle loro vite sentimentali e nei retaggi culturali che ereditano dai rispettivi genitori. Ed è proprio questo il filo conduttore del testo della Comencini, ci mostra le fobie, le debolezze e le manie di quattro madri, ce ne fa subodorare le origini nel passato per poi mostrarcene gli effetti sulle rispettive figlie nel futuro.
Mentre le altre tre giocano a carte, Beatrice ha le prime doglie del parto. “Sono solo fitte, quelle vere sono come spade!”, “ti sembrerà di morire e quando penserai di non farcela più, avrai appena cominciato!”, tentano di rincuorarla, ovviamente senza riuscirci. Per tranquillizzarla, iniziano ad elencare i vantaggi di avere un figlio, gli aneddoti che restano scolpiti nella memoria di un genitore, la sicurezza e tranquillità che un figlio può introdurre in una famiglia, l’interminabile gioia di diventare madre. Per fare ciò, sono costrette a raccontarsi, a sputare il veleno che tengono dentro, a mettersi in gioco. “Io mille volte ho fantasticato sul sesso che fanno insieme” confessa Claudia la tradita, i figli rappresentano tutto quello che le resta ma “mi sento bella, piena di vita, eppure morta”. Gabriella, la pianista mancata, quando il marito musicista torna a casa da una delle sue tournée, “più lui è dolce e gentile, più io mi innervosisco”, “mi guarda come se fossi matta”. Sofia ha due case, una per sua figlia e una per se, in una fa la mamma, nell’altra l’amante: “per un uomo il sesso è meno importante del Natale”, sotto le feste infatti il suo uomo torna a casa dalla famiglia e lei resta sola come una scema, “il pomeriggio in cui gioco a carte? il migliore della settimana!”. Beatrice, subissata da tutte queste vibrazioni negative che paradossalmente dovrebbero tirarle su il morale, è quella più ottimista di tutte, ma non può far altro che capitolare: “come faccio poi a pensare che tutto diventerà orrendo?!”.
Nel secondo atto la scenografia ruota di nuovo e stavolta è la fredda parete bianca il nuovo scenario, con l’aggiunta di un divano. Le quattro attrici interpretano anche il ruolo delle relative figlie, introducendo un continuum logico che non è stato mantenuto nell’omonimo film del 2006 per la regia di Enzo Monteleone. Il destino ha ironicamente giocato con le loro vite: la figlia della tradita non riesce a procreare nonostante “mia madre alla mia età aveva già tre figli”; Beatrice è appena morta suicida per solitudine, come aveva fatto sua madre prima di lei, e sua figlia non può far altro che ritenersi responsabile (“ma non hai papà che ti tiene compagnia?”); la figlia di Sofia fè medico e cura i bimbi che non riesce ad avere da suo marito, mentre la figlia della pianista mancata è diventata musicista a sua volta, facendo vivere a suo marito quello che suo padre ha fatto passare a sua madre. Ma allora le previsioni nere del primo atto si sono tutte avverate?
“Forse le nostre madri ci avrebbero volute diverse”.
Il testo della Comencini è profondo ma allo stesso tempo comico. Questo connubio, sicuramente raro, è reso ancor più interessante dal paragone cronologico di due generazioni diverse di donne. Ovviamente sarebbe stato facile scaricare tutta la colpa sull’emisfero maschile, ma il testo non è così semplicistico, scava nell’intimo delle donne lasciando gli uomini solo spettatori. Le quattro amiche si affossano e si sostengono, si punzecchiano e si aiutano, sono sulla stessa barca quindi tanto vale cooperare.
Lo spettacolo non ha intoppi, ha buon ritmo e battute esilaranti, senza far mancare qualche momento drammatico che non guasta mai. Le attrici sono molto brave in entrambi i momenti, anche se forse il gradino più alto lo raggiunge Giulia Michelini, la più vera. Applausi meritati. “Come ci siamo ridotte così esattamente?!”