Dolore sotto chiave e Pericolosamente: doppio Eduardo firmato Saponaro

[rating=3] Vedere una commedia di Eduardo de Filippo, nel suo mitico teatro San Ferdinando, è sempre una sensazione strana. Dopo trent’ anni dalla sua scomparsa chi rappresenta le sue opere, ma soprattutto chi interpreta Eduardo, ha sempre paura di commettere errori, di non essere all’ altezza, di essere giudicato con superficialità dal pubblico. L’errore è quello di comportarsi sulle scene come il Maestro, con le stesse pause, con il “detto ed il non detto” con l’ ironia delle non parole, della gestualità, dei silenzi accusatori.

I due atti unici, Dolore sotto chiave e Pericolosamente, la prima scritta nel 1964 e la seconda nel 1938, hanno all’apparenza poco o nulla in comune, tranne il tema della morte, posto quasi in ombra dalle modalità completamente diverse con cui esso viene trattato nei due atti unici. Interpretati dai bravi Tony Laudadio, Luciano Saltarelli (magistrale nel ruolo femminile), Giampiero Schiano, con la sapiente regia di Francesco Saponaro. I personaggi che, ovviamente ricalcavano Eduardo, ma aggiungono la loro sapiente professionalità e personalità. Così anche se la maggioranza del pubblico ed il recensore conoscevano le famosissime commedie, hanno applaudito gli interpreti capaci di dare quel giusto “pathos” e quella dose di bravura necessaria.

Dolore sotto chiave

In Dolore sotto chiave vengono fuori la carità cristiana, la compassione o la mania borghese della beneficenza che spesso diventano armi improprie per dissimulare, la segreta predisposizione dell’ essere umano per controllare e dominare l’altro. Infatti,in casa dei fratelli Capasso c’è una camera di morte che custodisce per undici mesi il simulacro del dolore. La vicenda si colora di risvolti comici a tratti paradossali carichi di morbosa e grottesca esasperazione.

In Dolore sotto chiave viene avocato un oggetto simbolo usato, come sottile minaccia di suicidio del povero Rocco Capasso: la rivoltella, che in Pericolosamente si materializza e si trasforma in un vero e proprio strumento di tortura coniugale e rimedio alle bizzarrie improvvise di una moglie bisbetica.

Applausi a scena aperta nel finale con le luci variegate del Teatro San Ferdinando che sembra ritornare agli antichi fasti.

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