
[rating=4] E’ sempre emozionante vedere un “mostro sacro” del teatro come Dario Fo, e non è da meno il suo racconto-documento storico “Lu santo jullare Francesco” sulla vita di San Francesco d’Assisi al Duse di Bologna. Le telecamere della Rai, insieme al soldout di pubblico del teatro, sono pronte a carpire ogni parola di questa versione inedita della vita del santo, diversa da quella che si può trovare nei libri religiosi e storici. Sia Dario che parla in dialetto “umbro” dell’epoca, sia il pubblico sul lato destro e sinistro del palcoscenico (fra cui abbiamo il privilegio di sedere!) strizza l’occhio alla tradizione orale che usava nel medioevo: qualcuno narrava e attorno a lui si raccoglieva spontaneamente una piccola folla di curiosi ascoltatori.
“Siate benevoli! … Mi aspettavo un applauso!”, Dario Fo rompe subito il ghiaccio e racconta la celebre vita del santo che circa un anno fa ha ispirato il nome del nostro attuale pontefice. La ripercorre però aggiungendo particolari poco conosciuti, riscoperti dalle copie di alcuni frati benedettini immuni alla censura clericale. Si scopre dapprima, quando ancora il santo non era così famoso ed amato, un tentativo da parte della chiesa di minimizzarne le gesta rimpiazzandole con quelle di altri santi minori, fino alla censura vera e propria di alcune parti della sua vita, come ad esempio il fatto che aveva chiesto senza ottenerlo di far parte della guardia comunale, o che era finito in carcere. La figura giovanile di Francesco era senza dubbio ingombrante: precoce, ribelle, pulita, ma soprattutto predicante la povertà assoluta del ministero di Dio, minacciando apertamente i fasti e i poteri nei quali la chiesa da secoli sguazzava. E si sa che i clericali romani “L’hanno la pronunciata facile” riferendosi all’accusa di eresia che colpiva e mandava a morte i pauperisti dell’epoca durante l’inquisizione.
I vari avvenimenti che costellano la via di Francesco sono raccontati in modo ovviamente non liturgico ma comico e scherzoso: il lupo ammansito a Gubbio parla al santo in “lupino” e dice che potrebbe “fare come gli uomini, che uccidono montoni per farne braciole”, l’uomo è come il lupo in fondo; oppure nel famoso dialogo con gli uccelli Dario ironizza: “per farmi ascoltare dagli uomini ci devo parlare agli animali”. Il sarcasmo verso la religione trasuda anche dall’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci ad opera di Gesù: i commensali, deliziati dal buon cibo, affermano “Come l’è bono! Che bella religione è questa”, come se il pesce consistesse una specie di “originario voto di scambio”. D’altra parte erano “tempi bui perché non c’era corruzione”, infatti all’epoca “non esistono i domiciliari, nemmeno per i senatori accusati di evasione fiscale! Che ci volete fare, siamo ancora nel Medioevo!”, unica stoccatina politica dello spettacolo. Anche se non c’era corruzione, c’era però il modo truffaldino di procacciarsi il potere e fama da parte di alcune città senza scrupoli che cercarono, dapprima con inviti formali seguiti ben presto da scorribande armate, di far morire il santo all’interno dei propri confini, garantendosi così fama e soldi dei futuri pellegrinaggi.
Inutile dire che il magnetismo di Dario Fo ha incantato il pubblico del Duse: fa tutto da solo, racconta, ironizza, si scorda alcune battute e poi le riprende, improvvisa quando il microfono si rompe e incassa un inaspettato applauso: “è la prima volta che mi capita di prendere un applauso perché bevo un bicchier d’acqua!”. Le due ragazze che lo aiutano sono quasi ingombranti, servono solo a passargli dei disegni sulla vita del santo che, oltre gli sfavillanti colori, hanno il solo pregio di essere fatti proprio da Dario Fo. Alla fine firma autografi e i suoi disegni, il bagno di folla mostra una persona umile e splendida, ma questo ce lo aspettavamo ampiamente.