
L’attesa per questa Prima nazionale è stata alta. Il nome Danio Manfredini risuona e anticipa visioni e presentimenti. Il suo teatro poetico e crudele, non sociale e non didattico, intriso di umori e atmosfere, dagli anni Settanta lascia a bocca aperta – punto di riferimento per chi sogna un incrocio tra il verbale e l’istintuale, il surreale e il reale più spinto. Pochi come lui sanno trattare temi difficili: la malattia della psiche, l’omosessualità, la prostituzione, il disagio mentale e l’emarginazione.
Da Al presente a Tre studi per una crocifissione, passando per Cinema Cielo e infine questo ultimo lavoro, il tocco tragicomico di Manfredini sfiora stazioni umane di tenera decadenza, facendo emergere il sentire terreno tra autoironia e solitudine, rassegnazione e fuga nell’immaginario.
Il personaggio Luciano si aggira per le sale dell’ospedale psichiatrico, stavolta non circondato solo dai fantasmi dell’Io (come in Tre studi), ma da altri esseri umani, un costante brulicare di tentativi di vita.
Da subito appare il doppio piano della drammaturgia, l’alternanza tra i dialoghi (degli attori) e la voce pre-registrata di Manfredini – un diluvio musicato caldo e lirico, in contrapposizione con lo squallore materiale di quattro umide mura. E le parole impietose, che stillano una nostalgia d’amore e bisogni carnali, fanno da contrappunto a memorie di sesso a pagamento nei parchi di Milano o erotismo nei cinema a luci rosse, sadomasochismo nei locali hard e un vagare di casa in casa, perché alla propria è stata cambiata la serratura.
Se la tematica del mondo omosessuale può apparire forse datata, non lo è la poetica, che tocca intimamente ogni individuo contemporaneo, nel suo schiantarsi contro l’incapacità di realizzazione in una società sempre più schizofrenica. L’uso della scenografia, impeccabile, è un punto di valore aggiunto alla regia, meccanismo fondamentale per il cambio di scene e visuali. Dai bagni del manicomio alle panchine, gli alberi, la discoteca, il cinema, lo spazio sembra respirare, senza rabbuiarsi del tutto, nemmeno negli esterni dove gruppi di uomini si scambiano effusioni animalesche. Una sincronia tecnica affinata e rodata, così come luci e musica – la house con il pop – fanno da guarnizione al delirio mentale del personaggio Luciano/Manfredini, che nel suo umorismo arreso e nelle parole dei poeti, cerca la via di fuga da un martirio quotidiano.
Studi verso Luciano, da dichiarazione, risulta ancora un work in progress, anche se presenta una finitura stilistica, una organicità di contenuti e forme che fanno pensare a un compiutezza di fondo. Tra maschere e smascheramenti.