
[rating=3] In scena ai Filodrammatici, Mattia – Life Changing Experience, un Mattia Pascal contemporaneo, per la regia di Bruno Fornasari e Tommaso Amadio nel ruolo del protagonista. Nella sua impostazione meta teatrale e ad incastro narrativo, emerge l’esigenza di andare ben oltre la storia di un uomo, in questo caso Mattia, e della sua “morte” e della sua “nuova vita”. I tempi sono cambiati, come la riflessione registica e drammaturgica sottolineano; dunque la vicenda pirandelliana rimane solo un richiamo, sradicato da quel contesto per essere immaginato, narrato, agito all’interno della nostra quotidiana realtà globale.
Mattia si ritrova a condurre una vita claustrofobica, dopo una serie non scelte e leggerezze, tra cui l’unione con la moglie Vale e la nascita dei suoi figli o i debiti causati dai viziucci che può permettersi grazie a un buon lavoro. Egli è figlio dell’era del benessere ma anche della solitudine, di internet e dei sogni; sogni mai avvicinati e derisi, per cui non c’è mai tempo, tra una rata e l’altra da pagare, il dentista per i figli, i genitori invecchiati da sistemare. Rimasto in fondo un po’ bambino, come se l’età adulta gli fosse piombata addosso a tradimento, Mattia decide di rifarsi una vita e darsi per morto quando il gioco si fa duro, ma è a questo punto che cominciano le grane, il mondo non è tanto disposto a lasciarti andare.
Capire un personaggio così, la sua vita e le sue pseudo-scelte, può rivelarsi più complicato di quanto non sembri; opportunamente, i cinque attori in scena tentano di tenere le fila narrando, per ricostruire gli eventi, le motivazioni, riempire “i buchi” della vicenda personale di questo antieroe. Come accadrebbe in una conversazione reale, si va per associazioni di idee, parentesi da aprire e a volte non chiudere; non c’è un ordine cronologico ma si salta qua e là, mantenendo i riferimenti temporali grazie a qualche data ma soprattutto agli oggetti, ponti di collegamento tra i personaggi e tra il passato il presente e il futuro di ognuno. Quadro per quadro i narratori diventano attori, alcuni prima altri poi, rivestendo i ruoli degli altri personaggi che ruotano intorno alla vita di Mattia. Tra questi Mino, un amico e collega di Mattia, e anche i veri e propri investigatori/giocatori del puzzle da ricostruire, senza nome; pedina A e pedina B verso la fine di una storia che assume connotati da film thriller. Giunti all’epilogo, le persone che avremo conosciuto saranno almeno due: non solo Mattia, ma anche la moglie (bella interpretazione di Valeria Perdonò) grazie a monologhi densamente poetici che lasciano inspiegato l’inspiegabile, ma danno spessore alle personalità di quella che ci viene presentata dall’inizio come una “coppia per caso”.
Sembra mancare qualcosa, e forse è quel qualcosa di eclatante, romantico o poetico, evirato fin dall’inizio; il sogno viene in qualche modo mostrato, ma la battuta finale della pièce rilancia in senso leggero e piuttosto cinico e, dato il senso di quello che si vuole trasmettere, non potrebbe essere diversamente.
Da bambini pensiamo che i nostri genitori non moriranno mai, che i nostri sogni si realizzeranno e non ci arrenderemo, mai, mentre, nell’era del consumismo e della “obsolescenza pianificata” degli oggetti (per dirla come Bruno Fornasari), anche i legami, i pensieri, tutto insomma, cambia e stufa, dopo un po’: il destino non esiste più, e se non sei felice, bacchetta magica e “bidibi bodibi bu” !