Contemporanea festival 2011 apre sotto il segno della banale provocazione

Il Teatro Metastasio Stabile della Toscana ha battuto tutti sul tempo, nel lungo periodo di tagli al mondo della cultura e dello spettacolo, rispondendo per primo tra gli stabili italiani con l’apertura della nuova stagione teatrale, attraverso i 24 spettacoli (dal 23 settembre all’8 ottobre) del Contemporanea festival, giunto alla sua nona edizione.

Lo spettacolo scelto ad aprire il festival è stato Suis à la messe, reviens de suite (sono alla messa, torno subito), una prima nazionale della compagnia svizzera “L’Alakran” diretta da Oskar Gómez Mata.

Lo spettacolo si apre con un prologo itinerante che dal foyer del Fabbricone prosegue fino al suo interno, passando dall’entrata posteriore del teatro. Assistiamo da terra ad un incipit musicale e ironico, dove alcuni luoghi comuni“momenti storici” vengono narrati e canticchiati in stile farsesco. Lo spettacolo vero e proprio ha inizio accomodandoci nella sala del teatro, dove sulla scena un telo bianco avvolge cinque oggetti vibranti. Gli attori si muovono sulla scena ed entrano in contatto con gli oggetti scoperti (un frigobar, un tappeto arrotolato, una valigia, una cassa di bottiglie, un cartone di birra) che trasmettono sui loro corpi le vibrazioni. Tutto emana vibrazioni sulla scena, persino una sedia e una panca. Lo spettacolo si squarcia letteralmente in due quando entra in azione un fantomatico presentatore, che fa esplodere tutta la sua energia sul pubblico, gettandosi seminudo tra gli spettatori intimoriti, simulandovi amplessi. Il culmine dello sketch viene raggiunto distribuendo e scaraventando tra le persone pezzi di pizza, luogo comune per eccellenza della nostra nazione sbeffeggiata per l’intero spettacolo dal gruppo di attori, che per finire si calano le brache mostrando a tutti le loro natiche, anch’esse vibranti.

Uno spettacolo che doveva parlare di anima, ma pare mirare dritto fin dal primo minuto ad una sola cosa, il dileggio di un paese oramai in mutande, dove i luoghi comuni crollano come iceberg e dove i valori si smembrano come continenti alla deriva, sotto la forza mistica delle vibrazioni, verso le quali il popolo non può far altro che rimanere impietrito.
In mezzo a questo vibrare di oggetti e di corpi, che appaiono come fumo negli occhi degli spettatori, non troviamo elementi artistici e di indagine per cui valga la pena ricordare lo spettacolo di Gómez Mata, che come la scultura di panche sullo sfondo della scena, crolla a terra, simile allo scioglimento di un ghiacciaio. In un festival dove si parla di contemporaneità e di ricerca, stupisce che vengano proposti spettacoli in apertura come questo, che non oltrepassano la semplice provocazione, scadendo addirittura nella banalità. Il lavoro sull’attore risulta deturpato e annichilito da effetti scenici ripetitivi, azioni fini a se stesse e un’ironia che alla lunga risulta stancante, finendo per divertire solo i loro interpreti. Lo spettacolo appare limitato, slegato ed eccessivo, rischiando perfino di fare del male fisico al pubblico. Anche la nudità viene proposta in maniera scialba, gratuita, senza la benché minima relazione con il significato di quei corpi nudi del Living Theatre che nel lontano ‘68 calcavano il palco del Metastasio con il loro Paradise Now, provocando e scandalizzando la platea dell’epoca.

Il pubblico di oggi, avvezzo alla sperimentazioni più ardite, ricerca un’indagine cognitiva più sottile, meno cannibale, dove si possa quanto meno intravedere la luce di un’idea chiamata teatro.

La platea del Fabbricone ha risposto in vari modi: ridendo, mugugnando, lasciando la sala, lanciando pizza, sottomettendosi e rimanendo in tensione fino alla fine, ricambiando al termine la compagnia svizzera con il minimo sindacale di applausi. Anche troppi.