
[rating=5] Mi faccio un tatuaggio. Dice a un tratto uno dei personaggi – rivolto ai suoi fratelli – con aria di sfida, da lottatore alle prime armi, da coniglietto spavaldo. Ed è questa solo una delle tante, irresistibili, incalcolabili battute che rimbalzeranno, come palline impazzite di un flipper, negli striminziti sessanta minuti in cui si svolgerà uno spettacolo, a mio avviso, che non si dimentica facilmente.
A Villa Scornio, o Villa Puccini a Pistoia (una location strepitosa, l’acustica un pò meno convincente), ore 21:45, anche se è nuvoloso, il sole c’è. La Famiglia Campione sarà anche sgangherata e cattivella, si divertirà a insultare, criticare, prendere a calci le porte e sfondare i timpani; ma nasconde, tuttavia, l’inconfondibile, tenero calore di chi soffre, e non sa come dirlo.
La Compagnia Gli Omini, a sua volta, è la rivelazione degli ultimi anni. L’umiltà di Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Luca Zacchini, Giulia Zacchini, unita a intelligenza e a uno humour nero come la pece, luminoso, rincuorante, fa sentire tutti sulla stessa barca, desiderosi di gridare, alla Battiato: “Mare, mare, mare voglio annegare. Portami lontano a naufragare”. Il beat dello spettacolo è fatto, minimo, di 110 bpm – quelli di una buona musica elettronica -, quelli, forse, di Summer on a solitary beach, che d’un tratto sconquassa dolcemente la scena.
Come i campioncini che regalano in profumeria – quelli che ti spruzzi sempre volentieri, per provare, per gioco – questo è un campioncino sociologico, senza troppe etichette addosso, senza scontrini da capogiro. L’odore inebria. La confezione pure. La massa energetica degli attori anche. La drammaturgia: un colpo allo stomaco, dritto, senza tentennamenti; uno squillante “campanello in testa”, che dà la sveglia. La noia qui è bandita. Perché La Famiglia Campione siamo noi, è la nostra famiglia, quella della sedia accanto. Non si scappa dalla famiglia. E Gli Omini, che ne hanno intervistate a centinaia, per raccogliere materiale e ispirazione, lo sanno bene. Metodo incisivo, questo, nuovo, semplice, banale e, proprio per questo, geniale.
Ecco che lo spazio scenico diventa un ring, dove i personaggi si scontrano in round eterni, dove l’arbitro si è assentato un attimo per andare al bar e tutti perdono, a suon di botte. I lividi e le ferite non le cura nessuno, ma nessuno sembra farci caso, come un rito che si svolge sempre uguale, e di cui ormai si sa tutto. L’infermeria emotiva è chiusa da tempo, e tutti se ne compiacciono. Dimenticavo. Gli attori qui sono solo tre, più una, rinchiusa nel bagno, da cui uscirà solo alla fine. I personaggi invece sono nove.
I tre si sdoppiano, si striplicano, si moltiplicano nelle interpretazioni più bizzarre, caricate e caricaturali, senza mai scivolare nell’ovvio, o nel banale. Rapidi cambi di costume, un “cencio” in più addosso, un “gileino” di lana, ed ecco che il trentenne diventa il nonno e il nonno diventa il figlio, cioè il genitore del trentenne. I personaggi ruotano come trottole e il loro linguaggio fa, letteralmente, lacrimare di una gioia strana, felice e infelice. Le loro risate liberatorie, sabbie mobili fra le più piacevoli, sono la più grande cura, e tortura, che si possano trovare sul panorama teatrale contemporaneo.
La Famiglia Campione è una famiglia allargata, fatta di buchi neri e controsensi, di legami smangiucchiati, come le mele che continuamente vengono azzannate da ogni personaggio che va e viene, con o senza rumore.
Ma che vita è questa, Bianca? Questa non è vita, dice il caro babbo, parlando con una porta chiusa. Poi scorrono le parole dette al vento, il rosario della nonna, le malattie del nonno, e:
– Ma te che fai nella vita?
– Io vado a correre. Non ne posso più di basare tutto sulla simpatia anche quest’anno
Amabile frustrazione, qui striscia sottile, con parole scelte tra quelle delle persone realmente intervistate, con un richiamo continuo al mondo fuori, e dentro di noi. Adorabile insicurezza e non-viaggio “al di là del principio di piacere”, mèta irraggiungibile, qui il pessimismo cosmico è sconfitto e risuscitato di scena in scena; perché per stare insieme, convivere, capirsi, bisogna passare dalla lotta.
Forse non c’è speranza per la Famiglia Campione. O forse si. Perché Bianca, il personaggio chiuso nel bagno da giorni, esce, di nascosto, alla fine, quando le acque sembrano essersi calmate, per prendere l’unica mela rimasta intatta. E piomba nuovamente il buio, segno che ora è tempo di conoscere da vicino questi Omini: giovani e dalla “calligrafia” chiara, netta, intraducibile. Made in Montale (Pistoia).