Appeso ad un filo ovvero zio Vanja

[rating=2] In un luogo imprecisato della grande campagna russa, nella tenuta di campagna del professor Serebrjakov si svolge l’intera vicenda.

“Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. E quella di Vanja fratello della prima moglie del professore, per anni suo fedele amministratore e ammiratore appartiene a questa seconda categoria. A turbare la pace della tenuta è l’arrivo improvviso del professore (Michele Placido) e di sua moglie  Elena (Lidiya Liberman), arrivo che sconvolge l’animo di Vanja (Sergio Rubini), di Sonja (Anna Della Rosa) e del dottor Astrov (Pier Giorgio Bellocchio). E in un crescendo di alterne vicende si arriva all’epilogo del quarto atto nel quale Serebrjakov comunica a Vanja la sua intenzione di vendere la proprietà, provocando l’ira di quest’ultimo che tenta invano di uccidere il professore a colpi di pistola. A questo punto il professore e la giovane moglie decidono di partire immediatamente per la città, in un nulla di fatto, lasciando ancora una volta a Vanja il compito di amministare la tenuta.

Le esistenze sospese vengono sconvolte dall’ arrivo di Elena che, come la Elena di Troia, porta sventura e distruzione e diventa “specchio” nel quale si riflettono gli sconsolati i personaggi. Vanja vede in lei il tempo che è passato, scoprendo stupito che ormai ha quarantasette anni; Sonja si vede brutta e indesiderata; Astrov comprende che tutta la sua quotidiana fatica è nulla, che la lotta per l’esistenza è disumana.

Zio Vanja di A. Checov firmato Marco Belloccchio

Emerge la forza distruttiva di Vanja che verrà scagliata prima inutilmente contro il professore accusando di non aver mai vissuto, di aver sprecato a causa sua i migliori anni della sua vita e poi contro se stesso. Vanja è un inetto, incapace persino di togliersi la vita, quella stessa vita che gli è scivolata via senza che lui nemmeno se ne accorgesse.

E ora non gli resta che aspettare, sperando che il tempo passi velocemente. A tuto ciò Sonja risponderà con un  inno alla vita.”Vivremo una lunga, lunga fila di giorni, di lente serate, sopporteremo pazientemente le prove che Dio ci manderà, […] lavoreremo per gli altri […] e quando arriverà anche per noi la nostra ora, moriremo umilmente.[…] Io credo”.

A Sonja appartiene l’unica flebile speranza che illumina il buio fitto in cui tutti loro sono precipitati. E la brava Anna Della Rosa risulta essere all’altezza del compito. Bravo e generoso in scena un Placido-Professore che con i suoi sbuffi e con le sue piccole manie strappa anche qualche sorriso. Commovente, convincente, disarmante nella sua estrema umanità Rubini-Vanja che  ha tic alle mani e alle gambe; tiene il broncio come i bambini; è sarcastico e ingenuo allo stesso tempo.

Una scenografia “ariosa” che crea grandi spazi e lascia intravedere alle spalle, attraverso due grandi finestre, il giardino. Si vedono due alberi, spogli, secchi, sospesi nel nulla. Forse correlativo oggettivo delle vite perdute degli abitanti della casa.

Ma  l’incanto non viene raggiunto. La musica pronta a sottolineare ogni istante significativo diventa ingombrante, sovrapponendosi alla parola. Le pause vengono mantenute, sottolineate ma non si trasformano in svolta emotiva e quindi in azione, portando con sè un calo di ritmo.

Forse davvero “l’arte di Checov è troppo delicata per l’uomo moderno” come diceva Stanislavskij.

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