A “La Stazione” di Pontedera, una locomotiva chiamata teatro

Simbolo di transito, di partenza o di arrivo, ma anche e soprattutto incrocio tra persone con origini e storie diverse, come quelle narrate nello spettacolo che porta il suo nome, La Stazione, ritratto teatrale di un quartiere, allestito di fronte all’ex-fabbrica della Crastan di Pontedera, e al quale hanno dato vita oltre 80 partecipanti di tutte le età ed etnia.
Lo spettacolo realizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro, si colloca all’interno di un progetto omonimo del Comune di Pontedera con il contributo regionale, nato dal desiderio di far rivivere con l’aiuto del teatro il quartiere “a rischio” della stazione di Pontedera.

Il risultato è stato un bell’insieme di quadri scenici, più o meno legati tra loro, dal forte impatto emozionale e visivo, frutto di un laboratorio iniziato nel gennaio scorso sotto la guida di Anna Stisgsgaard, dal quale sono emerse storie reali e canti, portati in seguito sulla scena.

La performance corale ha inizio fuori dalle alte mura della fabbrica, quando a bordo di una vecchia spider rossa arrivano strombettanti alcuni personaggi. Dopo un breve incipit connotativo sulla storia del luogo, con l’arrivo in bici delle “fabbri’ine” (fabbrichine, così chiamavano le operaie della Crastan), si aprono i cancelli, e sulle ali delle note di fisarmonica, tromba e violino, invitano il pubblico ad entrare dentro le mura, “seguiteci!”. Entrando nel piazzale, la vecchia fabbrica, per niente fatiscente almeno dall’esterno e ben illuminata, ci osserva con le sue numerose finestre aperte, come tanti occhi dai quali è possibile scrutarne l’anima.

La facciata della ex-Crastan - foto di Simone Rocchi

La storia a ritroso del quartiere viene narrata da una signora cieca, affiancata da una bambina, in uno scenario che si anima ad ogni piccola fermata. Come sfogliando un album di fotografie ingiallite, i luoghi riappaiono ai nostri occhi con l’emozione e la magia del ricordo. La fabbrica si trasforma così nella Stazione, punto d’incontro tra cultura, passioni e vita. Un crocevia di “c’era una volta”, di malinconici canti lontani, che narrano storie e aneddoti, tra danze e musiche d’un tempo passato, che avvicinano gli uni e gli altri in un’epifania nuziale.

Storie curde - foto di Simone Rocchi

E così scopriamo che “C’era una volta i panni che puzzavano di Cioria (cicoria)”, “C’era una volta un lago dove ora c’è la Coop”, “C’era una volta che andar fuori dal ponte era sconfinare”.

Uno spettacolo che si alimenta di emozioni personali, di storie di quartiere, e che vira anche attraverso i canti verso l’incontro tra culture diverse, dal toscano “e cinquecento catenelle d’oro” fino a quelli popolari del suggestivo coro delle signore georgiane.

Il cast di "La Stazione" - foto di Simone Rocchi

La regia armoniosa di Anna Stisgsgaard colora lo spettacolo di meraviglia, con amarcord felliniani, come le struggenti note di tromba che rievocano “La strada” o il girotondo finale in stile “8 e ½”,  arrivando così ad amalgamare il numeroso cast di partecipanti-attori ed assottigliando il gap tra le varie scene. Vera portatrice di vitalità è la musica suonata dal vivo, che accompagna la pièce da cima a fondo: ironica, poetica, popolare.
Come in un film di Kusturica, melodie e storie si fondono in un unico inno alla vita e al piacere di condivisione. Ed è così che allestendo un enorme tavolo e spartendo un brindisi con il pubblico, che la performance si congeda, con il coinvolgimento di tutti, attori, spettatori, quartiere e città.
Tra il numeroso cast ricordiamo l’impegno di Giovanna Daddi nei panni della cieca e quello straordinario della bambina Paula Lushnjani, della quale rimaniamo affascinati per la spontaneità e un’innata vocazione alla scena.

Giovanna Daddi e Paula Lushnjani - foto di Simone Rocchi

Pontedera e il suo teatro si mostrano ancora una volta presenti e attenti, ricoprendo un ruolo fondamentale, quello di essere locomotiva di una società troppo spesso assopita solo per la mancanza di coinvolgimento, ma che appena spronata sa rispondere con grande passione e generosità, così come hanno fatto tutti i partecipanti al progetto (abitanti, associazioni, comunità straniere, scuole).

La cultura e chi in essa crede, deve fare da pungolo, come in un “atto” beckettiano (noi nel nostro piccolo ci proviamo con il magazine), per ridestare il più alto numero di individui dall’isolamento delle quattro mura domestiche: fuori c’è un territorio da riscoprire, che cambia di giorno in giorno, con le sue innumerevoli stazioni dove persone apparentemente lontane si ritrovano vicine.

C’era una volta il teatro, e per fortuna, c’è ancora.

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