
[rating=4] Estate 1963, un luglio afoso a Newport. Sul palco del più garnde festival falk sale quel 23 luglio una giovanissima Joan Baez, che dopo poco invita un quasi sconosciuto Bob Dylan. Il pubblico lo fischia, ma loro due continuano, quasi senza sentirli.
Un mese dopo la Baez sarà a fianco di Martin Luther King nella “monumentale” marcia per la pace di Washington. E’ a Woostock nel 1969, è in Vietnam ad Hanoi per cantare contro le bombe americane, in America Latina, a Praga. Joan Baez è prima di tutto una donna che lotta per i diritti civili ed è forse proprio dalla sua indignazione che nascono le sue canzoni che si trasformano in un grido di protesta cantato dalla sua voce di “usignolo”.
All’Auditorium parco della musica ascoltarla diventa un viaggio nostalgico negli anni ’60, in un’ epoca in cui si credeva davvero che tutto potesse cambiare,che la protesta pacifica fosse la chiave di volta per cambiare un mondo restio a tutti i cambiamenti.
Ed eccola iniziare solo con voce e chitarra acustica con God is good, quasi a rievocare tutte le sue battaglie passate e quelle future. “Io credo nella profezia. Alcune persone vedono cose che non tutti possono vedere. E una volta ogni tanto passano il segreto insieme a voi e me.”
Poi è la volta di Farewell Angelina, il primo omaggio dylaniano della serata. Un soldato parte per il fronte e saluta la sua Angelina, sotto un cielo imbarazzato che si piega, trema ed erutta.
E’ poi la volta di There But For Fortune di Phil Ochs,per ricordarci che “solo per caso” non siamo noi i vagabondi che dormono sotto la pioggia o il prigioniero nella cella buia. Lily of the West,canzone folk tradizionale. Flora è una donna contesa da due uomini che si battono in duello per lei, morendo entrambi e lasciandola libera.
E’ poi la volta di Joe Hill che la Baez dedica ai rappresentanti in sala del movimento “No Tav” della Val di Susa perchè da nord a sud, da est a ovest ci vuole più di un fucile per uccidere un uomo, perchè bisogna organizzarsi, perchè l’organizzazione “loro” non possono ucciderlo. Poi un omaggio all’Italia, con C’era un ragazzo e un mondo d’amore.
Una ragazza porge una rosa rossa e un timido ammiratore in prima fila si avvicina per farsi autografare un vinile d’epoca. Lentamente la voce diventa più calda e intona le note di un canto tipico ebraico Dona dona e poi una ballata tunisina Juri Ya Hamouda per arrivare allo spiritual americano Swing low,swing chariot.
E poi di nuovo folk puro con Seven Curses: una ragazza per salvare il padre corrompe il giudice offrendogli dei soldi e lui pretende anche il suo corpo, ma alla fine condanna comunque a morte il padre e lei gli augura sette volte la morte del padre.
Seguono alcune cover di grande impatto, The House Of The Rising Sun degli Animals,poi “ha bisogno di un po’ di Beatles” e allora ecco arrivare Imagine, Long black veil nella versione del 1959 rifatta da Jhonny Cash e il suo personale inno Gracias a la vida di Violeta Parra.
Esce e rientra e la conclusione fa alzare in piedi un pubblico dai capelli argentati come lei che nostalgicamente intona le note delle sue ultime canzoni: Here’s to you Nicola and Bart, Blowing in the wind e infine The Boxer di Simon&Garfunkel.
E’ lei la boxer della canzone che resta in piedi in mezzo alla strada, che ricorda i pugni, le cadute, le ferite che sembra dire a chi la guarda chiedendole cosa ha ottenuto,”ma io credo in Dio, e Dio è Dio”.