Rigoletto: il dramma rivoluzionario verdiano della complessità umana

Successo per l’inaugurazione della nuova Stagione Lirica del Teatro Verdi di Pisa

Il teatro Verdi di Pisa apre la stagione con una delle più splendide opere verdiane: Rigoletto, emblema della complessità della natura umana.

Un’inaugurazione che vizia piacevolmente il pubblico con un buffet offerto prima dell’inizio dell’opera: accoglienza davvero rara di questi tempi e molto ben gradita!

Lo spirito è dei migliori per accogliere l’opera dal cupo fatalismo, che fin dal suo esordio veneziano del 1851 riscosse un clamoroso successo, ribadito da oltre venti repliche. L’opera rivoluzionaria, tratta dal dramma di Victor Hugo Le Roi s’amuse, che riuscì ad avere la meglio anche sulla censura, pone al centro Rigoletto, la cui estrema complessità lo rende uomo a trecentosessanta gradi: uomo e padre, buffone e giustiziere, ritrova a caro prezzo quell’integrità tutta umana, propria di una paternità ferita che risuona nelle viscere. L’azione non lascia respiro, nell’incombente incalzare della patibolare ‘maledizione’, dal ritmo irresistibilmente travolgente, per una musica che, per citare Bruno Barilli, “s’intromette furiosamente, taglia i nodi con la roncola, fa scorrere lacrime e sangue esilaranti, piomba sul pubblico, lo mette tutto in un sacco, se lo carica sulle spalle e lo porta a gran passi entro i rossi, vulcanici dominii della sua arte”.

al centro Elia Fabbian (Rigoletto) e Roberto Iuliano (Duca di Mantova) photo di Massimo D’Amato
photo di Massimo D’Amato

Ottime le scene di Giulio Magnetto, semplici ed efficaci, con le scure quinte che modellano interni e delimitano spazi su bisogni e movimenti scenici, di una pulizia atemporale che avvolge con stile il palco e ne cura l’oscuro dramma. Il tutto ben amalgamato da suggestivi tagli luce che impreziosiscono ulteriormente la scena.

Meno efficace la regia di Federico Bertolani decisamente troppo statica e alla ricerca della posa d’effetto, che rallenta l’azione e rende impacciati i movimenti di coro e solisti.

Qualche perplessità per il Rigoletto di Elia Fabbian, dalla voce potente ma dalla presenza ancora poco matura per ricoprire il complesso ruolo:  manca propriamente di ‘carattere’ il protagonista di questo cupo dramma. Per citare Verdi stesso “…un gobbo che canta, perché no? Trovo bellissimo rappresentare questo personaggio eternamente deforme e ridicolo, e internamente appassionato e pieno d’amore”, il baritono dimentica, oltre al fatal “Ove l’avran nascosta?” nel climax d’inquietudine del II atto, proprio quella deformità che rende unico il personaggio, amalgamandolo con sapienza in un turbinio di emozioni che restituisce la sua anima tanto molteplice e umana. Anche la sua tempesta di passioni prende qui corpo lentamente, con un primo atto più titubante e in sordina, mentre nel secondo acquista il giusto vigore.

Ekaterina Sadovnikova (Gilda) e Roberto Iuliano (Duca di Mantova) photo di Massimo D’Amato
photo di Massimo D’Amato

Ekaterina Sadovnikova è una Gilda efficace, dal canto dolce e dalle emozioni trasparenti. Buona prova, soprattutto scenica, anche per la Maddalena di Sofia Janelidze. Il Duca di Roberto Iuliano è libertino al punto giusto, con vette passionali nei duetti amorosi. Stentoreo e cavernoso lo Sparafucile di Antonio di Matteo, dal vero fisic du role, mentre è decisamente deludente sia per potenza vocale che scenica il Conte di Monterone di Ivan Marino.

La direzione di Gianna Fratta è precisa e controllata, ma priva di slanci, con tempi a tratti troppo lenti e poco incisivi.

Pubblico a dir poco entusiasta, richiama più volte con lunghissimi applausi gli interpreti sul palco.

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