
Il Festival Verdi di Parma porta a Busseto Un ballo in maschera dissacrante per la regia anticonvenzionale di Daniele Menghini e la direzione ragionata di Fabio Biondi.
Un allestimento dalle scelte audaci e dall’approccio innovativo, quella di Menghini, in linea con le più moderne riletture teatrali, per una produzione che ha rotto le convenzioni, portando in scena non solo una rivisitazione visiva e concettuale, ma anche una riflessione profonda sui temi universali del Cigno di Busseto.
L’opera, fin dalle sue origine più volte osteggiata e censurata, aveva preso forma nel pensiero verdiano nel 1857, quando il Maestro firmò un contratto con il Teatro di San Carlo di Napoli per una nuova opera, ma a causa della censura, il progetto iniziale su Re Lear fu abbandonato. Dopo diverse dispute, il soggetto scelto fu Gustave III di Eugène Scribe, che affrontava il regicidio del re di Svezia. La censura napoletana impose ulteriori cambiamenti, spingendo Verdi a rescindere il contratto e rivolgersi al Teatro Apollo di Roma. Anche qui ci furono ostacoli, ma grazie all’intervento dell’avvocato Antonio Vasselli, Un ballo in maschera finalmente debuttò nel febbraio 1859. Celebrata per il suo equilibrio tra dramma e ironia, il lavoro segna la conclusione di quello che Verdi definì “sedici anni di galera”, un periodo di intensa creatività e sfide.

Nella nuova produzione bussetana l’elemento di rottura principale è stato il gioco costante con il travestimento e la maschera, interpretati letteralmente e simbolicamente per esplorare la tensione tra doveri pubblici e passioni private. Riccardo, con il suo abbigliamento che lo avvicina al grottesco di un Jack Sparrow moderno, e la presenza di una drag queen in scena, hanno offerto spunti provocatori seppur coerenti con la visione del regista, tesa a esplorare la maschera come simbolo di libertà e verità, un concetto incarnato in modo eloquente anche nei costumi, che mescolavano suggestioni barocche con tocchi contemporanei, a distinguere fin dalla loro prima sortie fidi e cospiratori, in una dicotomia fin troppo didascalica.
Nonostante l’apparente caos delle scelte stilistiche, Daniele Menghini è riuscito a evitare lo scandalo fine a sé stesso, con l’intento di far riflettere su temi profondi. La scena in cui Riccardo si traveste da donna per il ballo, in un evidente rovesciamento di genere, ha permesso di esplorare il tema dell’identità e del desiderio di evasione, enfatizzando la scissione tra l’apparenza pubblica e l’intimo tumulto delle passioni.

L’ambientazione scenica, firmata da Davide Signorini, ha saputo sfruttare al meglio lo spazio ridotto del teatro, trasmutandolo in una dimensione di gran lunga superiore a ogni aspettativa, trasformando la scena con soluzioni creative e simboliche, come l’evoluzione visiva del teschio di Ulrica che diventa sempre più presente, un chiaro richiamo alla morte che aleggia sull’intera vicenda, e grazie al sapiente uso delle luci di Gianni Bertoli. Anche i costumi di Nika Campisi, tra il Settecento e tocchi contemporanei, hanno contribuito a questa visione onirica e inquietante.
Sul fronte musicale, la direzione di Fabio Biondi ha offerto una lettura singolare dettata dalla necessità della riduzione dell’organico orchestrale per le dimensioni del teatro. La soluzione è risultata comunque discreta, esaltando le esecuzioni solistiche dell’Orchestra Giovanile Italiana applaudite a gran voce durante la messinscena.

Buona prova per il giovane cast, dove spicca la ieratica Ulrica di Danbi Lee perfetta per presenza scenica e potente tessitura vocale. Giovanni Sala, seppur con qualche incertezza iniziale, convince nella parte del trasgressivo Riccardo, uomo libero e irriverente che vive sul filo dell’eccesso, mentre risulta statico ma autorevole il Renato di Lodovico Filippo Ravizza. Dolente e affascinante al punto giusto l’Amelia di Caterina Marchesini, anche con qualche punta di durezza. Dinamico il paggio Oscar di Licia Piermatteo che solo nella scena finale del ballo ritrova la sua veste en travestì. Bravi anche i congiurati Giuseppe Todisco e Agostino Subacchi rispettivamente nei panni di Silvano e Samuel.
Un ballo in maschera conturbante che con la sua vitalità si è guadagnato lunghi e calorosi applausi.