
[rating=4] Raymond Carver è uno scrittore ancora oggi troppo poco conosciuto rispetto agli insegnamenti che le sue opere possono dare e lo è perché chi si approccia ad un suo libro viene preso ben presto da un senso di sconforto dato dalla domanda “Cosa avrà voluto dire?” e seguito dalla sensazione di non essere abbastanza intelligente da poter capire quel mondo così sottile e velato che egli ha appena mostrato.
Diego De Silva nella prefazione all’edizione Einaudi del 2015 della raccolta di racconti Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? dice per l’appunto: «Quando arrivi alla fine di un racconto di Carver è sempre come se ricominciassi, o stessi lì a chiederti: E quindi?», ma questo succede non perché Carver sia uno scrittore complicato, che usa mille figure retoriche e una sintassi ingarbugliata e zeppa di preziosismi lessicali ma perché la sua semplicità e la totale assenza di pretese di verità annienta lil lettore che ricerca nelle sue pagine una risposta al creato.
I suoi racconti nascono nel quotidiano e lì finiscono, non giungono mai al trascendentale (perché per quello si può leggere un manuale sul buddismo), raccontano piccoli granelli della vita di ogni giorno durante quei momenti in cui sembra non accadere nulla e in cui tutto è invece già accaduto.
Uno dei racconti forse più commoventi di Carver è Una piccola cosa buona, pubblicato nella raccolta Cattedrale del 1983, la storia è quella di un padre e una madre che hanno perso il figlio piccolo, Scotty, in un tragico incidente stradale pochi giorni prima del suo compleanno e di un pasticciere a cui è stata commissionata la torta di compleanno del bambino che i genitori non sono più andati a ritirare. L’uomo, non conoscendo i fatti, prende questo gesto per maleducazione e inizia a fare telefonate a casa della coppia dicendo solo: Scotty è qui, riferito alla torta, finché un giorno i due non decidono di andare da lui a dirgliene quattro.
L’incontro però non va come previsto: il pasticciere non si trova davanti due genitori maleducati ma un padre e una madre straziati dal dolore e la coppia, dal canto suo, incontra non il mostro che credevano ma un uomo profondamente solo e amareggiato dalla vita.
Carver fa incontrare quelle creature così umane e doloranti e lì, nel retrobottega di una pasticceria tra odori di pane e pasticcini, unisce le loro solitudini e ne tira fuori una consolazione momentanea ed eterna al tempo stesso. Il pasticciere, come un nuovo Gesù rivisitato, prende delle ciambelle e le dà ai due e, in quel momento per loro così devastante in cui ogni parola sembra superflua, dice: «Occorre mangiare per poter andare avanti. Il mangiare è una piccola cosa buona in un momento come questo».
È la grande magia di Carver, il riuscire a dire tutto senza dire apparentemente molto; in quel gesto semplice e ancestrale c’è più di molta psicanalisi, c’è il calore dell’umanità perché quello che lo scrittore vuole dire è che in certi momenti, quando il dolore è così forte da sentirsi spezzati, l’unica cosa che si può fare è ricominciare a vivere partendo dalle piccole cose, dalla più piccola, elementare cosa: mangiare. Ripartendo così, un boccone alla volta.
La storia continua: «Mangiarono le ciambelle e bevvero il caffè. Ann sentiva una fame improvvisa e le ciambelle erano calde e dolci. Ne mangiò tre, e il fornaio ne ebbe piacere. Poi cominciarono a parlare. Ascoltarono con attenzione. Sebbene fossero stanchi e angosciati, ascoltarono quel che il fornaio aveva da dire».
I tre condividono prima il cibo e poi le loro storie, ognuno mostra il proprio dolore e si sente alleggerito dall’aver dato ad un altro un po’ del peso che aveva dentro. Non accade nulla più. Carver chiude il racconto dicendo che pur essendosi fatta mattina nessuno di loro sente il bisogno di andare via.
Egli racconta in poche pagine quello che altri hanno scritto in libri interi e lo fa con semplicità, con parole chiare e precise che vanno lette in quanto tali senza attribuire loro un’oscurità che non c’è; questa sua letterature delle piccole cose buone fa perciò di Cattedrale e degli altri suoi racconti dei capolavori imprescindibili della contemporaneità che ha perso l’epicità e ha ritrovato se stessa nelle minuzie di ogni giorno.