
[rating=5] Non manca proprio nessuno: il Gatto, la Volpe, la Fata Turchina , Mangiafuoco, il Grillo Parlante e poi lui, Pinocchio, l’amato “bimbo” di legno….solo che non siamo in una favola, ma in uno psico dramma noir e, al posto dei personaggi che hanno popolato la nostra infanzia, ci sono (rispettivamente) il gay giocatore d’azzardo, la ninfo-cleptomane, la sposa bipolare e parolacciara, la mamma castrante, mentre il saggio grillo è diventato un algido psicanalista ed il burattino un occasionale battitore d’asta.
“Processo a Pinocchio” (Premiato agli Oscar Italiani del Musical 2015 per le migliori musiche originali) lo spettacolo scritto e diretto dal promettente Andrea Palotto, con Cristian Ruiz, Luca Giacomelli Ferrarini, Brian Boccuni, Debora Boccuni, Elena Nieri, Valentina Arena e con al pianoforte Federico Zylca, Tiziano Cofanelli, alla batteria e Andrea Scordia al basso, è andato in scena il 16 novembre al teatro Sistina in data unica (peccato….. ma comunque da segnare in agenda e ripromettersi di recuperare, prima o poi).
Sei personaggi, altrettanti pouf colorati e musica eseguita dal vivo ed ecco che sul palco si snoda una storia intricata e intrigante che ruota attorno ad un delitto, in cui le battute si susseguono velocemente e ad un ritmo serrato tenendo lo spettatore col fiato sospeso e impegnato a fare ipotesi sul colpevole, come in ogni giallo che si rispetti.
Tutto inizia con uno dei sei personaggi in scena morto…..la vittima è il povero Beppe Grillo (!), colpito alla testa con un martello; Pino(cchio) Lorenzini, trovato accanto alla vittima con in mano l’arma del delitto, sembrerebbe essere il colpevole. Ma la risposta non è così scontata come sembra, perché poi il morto in questione si rialza, unendosi agli altri, anche loro suoi pazienti, tutti presenti al momento del delitto. Insomma, tutti colpevoli e nessuno innocente! Quindi per appurare la verità è necessario, più che un processo in tutta regola, un percorso psicanalitico di gruppo condotto dalla vittima stessa.
Il presunto colpevole è un tipo alquanto bizzarro, bugiardo cronico e con una vita piuttosto complicata perché ha una moglie-bambina pettegola che non riesce a controllare il turpiloquio, una madre dispotica e soffocante che insiste perché la renda nonna e non fa altro che avvilirlo, e pure due amanti, una donna cleptomane, che non riesce tenere a freno le sue voglie, e un uomo, magazziniere da Zara, col vizio del gioco (senza contare un quadro del noto pittore Carciofari che non riesce a “piazzare”!).
Ad interpretare Pino è il poliedrico Cristian Ruiz, vera e propria anima dello spettacolo, che passa piacevolmente e con naturalezza dalla commedia al dramma, dai momenti più esilaranti a quelli più intensi, dimostrando tutto il suo eclettismo.
Non sono da meno gli altri attori che compongono il cast: Debora Boccuni (anche curatrice della coreografia), delinea bene il personaggio della moglie svampita; Valentina Arena impersona la madre, primo ed implacabile giudice di Pino, sempre pronta a svilirlo; Brian Boccuni ed Elena Neri davvero frizzanti e divertenti nel ruolo dei due amanti del protagonista. E poi Luca Giacomelli Ferrarini, colui che fa da splendido fil rouge in tutta la commedia, nei panni di Beppe, sempre molto espressivo e intenso, con i giusti tempi comici come quelli drammatici, anche se in questo ruolo deve controllarsi e trattenersi (ormai siamo abituati a identificarlo con il “folle” Mercuzio del musical “Romeo e Giulietta, ama e cambia il mondo”), il suo personaggio è pacato e logico e risulta assai credibile.
Lo spettacolo è ironico, divertente ed il ritmo è incalzante, i dialoghi sono piacevolmente piccanti e corrosivi, i personaggi si possono definire tutti ”un po’ fuori”, tranne il povero Beppe, unico punto fermo, con il suo inseparabile taccuino.
Si ride, certo, ma ad un certo punto si comincia anche a pensare e le risate diventano un sottofondo amaro, perché alla fine si comprende che non si può vivere eternamente in una favola senza conseguenze e prima o poi arriva il momento di affrontare la realtà da adulti (“Ma perché raccontare le favole quando si può vivere in una favola?” sostiene Pino); ecco allora che il protagonista viene guidato passo dopo passo dallo psicoterapeuta per cercare, fra le sue psicosi, un movente che potrebbe dare un senso ai fatti, anche se poi questa favola/storia non finisce con il solito e scontato “E vissero tutti felici e contenti”. Anzi, il finale è inaspettato e spiazza, non poco, lo spettatore.
I brani musicali non sono semplici, sia sotto un profilo tecnico che interpretativo, perché i testi sono parte integrante dell’intreccio della storia tanto quanto il recitato in prosa; le musiche composte da Marco Spatuzzi sono davvero belle, in particolare “Tic toc” il pezzo finale con la trovata delle poltrone pouf usate come moto perpetuo e la splendida ed emozionante “È tutto qui”, in cui Pino inizia a far uscire tutta la verità fuori di sé.
Belli pure i costumi ideati da Bianca Borriello, che mettono a fuoco le personalità dei vari protagonisti (basti pensare ai pantaloncini corti con le bretelle di Pino, al vestito svolazzante della moglie o alla camicia gialla , ma proprio gialla, del giocatore incallito), originale la scenografia e perfetto l’impianto luci di Daniele Ceprani.
Processo a Pinocchio è una pièce gradevole e intelligente che merita di essere vista, se non altro perché il pubblico scopre la verità o, meglio, il colpevole solo andando a teatro.