Fitoalimurgia: la raccolta di cibo selvatico

Le erbe selvatiche in primo piano: cibo riscoperto e utile per il nostro benessere. Informazioni e regole, e due ricette per cominciare.

Le erbe spontanee commestibili sono state utilizzate per lungo tempo dai nostri progenitori, anche e soprattutto prima dell’avvento dell’agricoltura e delle coltivazioni massive. La raccolta di piante edibili selvatiche è stata inoltre fondamentale in quei periodi di guerra e carestia e ha permesso la sopravvivenza anche di popoli interi, com’è avvenuto in Islanda.

E proprio dai paesi scandinavi è partita, qualche anno fa, la “riscoperta” delle erbe selvatiche: “Det nye nordiske køkken” ovvero “la nuova cucina nordica” è un manifesto del 2004 creato da René Redzepi e Claus Meyer del ristorante Noma (che sta per nordisk mad, ovvero “cibo nordico”) di Copenhagen – che per ben quattro anni è stato il miglior ristorante al mondo – quale tentativo di promuovere i prodotti naturali danesi come base per “nuove” pietanze, sia nei ristoranti che a casa. In particolare, si voleva porre l’accento sul bisogno di “purezza, semplicità e freschezza” e sull’utilizzo di cibo stagionale. Nel 2005 il Consiglio Nordico, i ministri dell’agricoltura di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia si incontrarono lanciando il “nuovo Programma sul cibo nordico”.

Le erbe selvatiche sono così entrate finalmente a pieno diritto nella scena internazionale del mondo del cibo. In Italia però, ed in particolare in alcune regioni meridionali, c’è sempre stato un uso continuo e fino ai nostri giorni di queste erbe, di parti di alberi, di radici, bacche, frutti, muschi e licheni. Oggi che tutto questo è stato portato alla ribalta gli è stato dato il nome di foraging, dall’inglese (to) forage, con il significato di “raccolta di alimenti selvatici”.

L’aspetto più bello della raccolta è soprattutto quello del legame con le stagioni, o ancor meglio con una microstagionalità che con i ritmi odierni sembriamo aver perduto: scopriamo così che ci sono erbe che potenzialmente si trovano tutto l’anno, come il tarassaco (Taraxacum officinale, Weber ex F. H. Wigg, 1780) o la piantaggine (Plantago sp., ne esistono diverse specie), e altre invece che addirittura possono essere raccolte solo per pochi giorni.

raccolta primaverile di fiori di Robinia pseudoacacia L. (robinia o acacia) e Sambucus nigra L. (sambuco)

Quindi la raccolta diventa un modo per riavvicinarsi alla natura, all’ambiente, per rispettarlo. Anche perché esistono delle specifiche leggi di raccolta, che i nostri antenati e i cosiddetti “raccoglitori”, soprattutto in Puglia, conoscevano molto bene: bisogna cercare dei territori il più possibile incontaminati, quindi lontano da discariche, industrie, centri abitati. Bisogna raccogliere fino a massimo il 5% di ogni pianta, per permettere alla pianta di continuare il proprio ciclo vitale. Bisogna fare attenzione al territorio su cui si raccoglie, evitando naturalmente parchi nazionali, terreni privati, etc.

Naturalmente non bisogna improvvisarsi raccoglitori, e infatti in quasi tutti i casi oggi chi raccoglie ha imparato a riconoscere le piante da qualcuno che gliel’ha insegnato, visto che si tratta di una conoscenza che si tramanda “sul campo”, com’è utile e giusto che sia.

Esistono numerose piante che hanno un loro sosia tossico, come può essere il caso del sambuco (Sambucus nigra L.) e l’ebbio (Sambucus ebulus L.), o come riportato ultimamente su alcuni quotidiani la borragine e la mandragora (anche se un bravo raccoglitore sa che hanno davvero poco a che spartire).

Per questo è fondamentale innanzitutto avere una buona base di studi botanici, per imparare le famiglie e le classificazioni, e soprattutto la forma degli alberi e delle foglie, per capire come “funzionano” i fiori e i frutti. E poi, imparare i nomi botanici di ogni pianta: questo permette di evitare incomprensioni, perché spesso alcune piante già tra nord e sud hanno nomi differenti, e anche all’estero. Un esempio su tutti: il nasturzio, bellissimo fiore che molti conosceranno, in realtà si chiama Tropaeolum majus L. (dove L. sta per Linneo, il botanico svedese che ha creato una prima grande classificazione delle piante), e per gli inglesi è il crescione d’acqua (Nasturtium officinaleR. nasturtium-aquaticum). O, ancora, la cosiddetta “barba di becco” che nel nord Italia è quasi estinta, nel sud Italia esiste ma è una pianta della stessa famiglia ma leggermente diversa, tant’è che il fiore è violaceo e non giallo.

A prima vista sembra tutto un po’ complicato, ma pensate che una volta “entrati nel tunnel” ci si ferma con gli occhi a cuore al semaforo guardando le aiuole spartitraffico in cerca di qualcosa di conosciuto ed edibile, o che in alternativa possa essere utilizzato per preparare oleoliti (come l’iperico – Hypericum perforatum L. -, ottimo per le scottature e le smagliature), tinture madri, tisane, infusi, decotti, e chi più ne ha più ne metta.

Naturalmente bisogna fare molta attenzione a non raccogliere piante protette o a raccolta regolamentata, come spesso se ne possono trovare in montagna; ma che soddisfazione fare una raccolta di cicoriette e cucinarle con le fave bianche e sentire il sapore dell’infanzia, oppure gli asparagi selvatici dal sapore molto più invitante di quelli coltivati.

raccolta estiva di lampone (Rubus idaeus, L. 1753) e fragolina di bosco (Fragaria vesca L.)

Da non sottovalutare assolutamente la percentuale di nutrienti (vitamine, sali minerali, proteine vegetali, etc.) che negli alimenti selvatici è molto più alta rispetto a quelli coltivati; si pensi che gli aghi di abete rosso contengono vitamina C otto volte più del limone; o che la vitamina K, solitamente presente in uova, fegato e carne, si trova in altissima percentuale nella piantaggine. O che un decotto di equiseto può tranquillamente sostituire pastiglie costose e ricche di eccipienti inutili per prevenire e combattere l’osteoporosi.

Interessante anche la considerazione che, sebbene ci siano diverse specie pericolose, tossiche e addirittura mortali (soprattutto tra le Umbelliferae, per cui può capitare di confondere la carota selvatica e la cicuta), tra le erbe la percentuale di queste ultime è più bassa che nel mondo dei funghi; basti pensare che tra le circa cinquemila specie solo due non sono edibili, e Madre Natura ci aiuta rendendole anche facilmente riconoscibili: una è verde brillante e l’altra giallo intenso.

A tal proposito va sottolineato che in determinati paesi, tra cui l’Italia, esiste una sorta di “fobia” delle erbe e del selvatico, in particolare una micofobia ben radicata – se paragonata con Finlandia o Russia -, per cui l’Amanita muscaria, fungo riconoscibilissimo, è demonizzato al pari del reale nemico mortale Amanita phalloides; quando invece vi sono dei procedimenti culinari per renderlo edibile e gustoso, al pari delle ghiande di quercia ricche di tannini o degli stessi muschi, immangiabili crudi. Probabilmente si tratta soltanto di una cultura che si è persa con il tempo, infatti sovente ci si sente dire “sì, i miei nonni raccoglievano”, e quasi sicuramente molti tra noi in gioventù hanno mangiato turioni di pungitopo – di cui è vietata la raccolta, oggi – o di vitalba.

Un altro esempio che mi piace sempre fare è che l’uomo del Similaun, Ötzi, mangiava semi di Chenopodium bonus-henricus, lo spinacio selvatico, prima che fosse introdotto lo spinacio che tutti conosciamo e mangiamo oggi; dal valore nutrizionale altissimo e di sicuro interesse anche per chi segue determinati regimi alimentari o ha problematiche legate all’assorbimento di ferro.

Forse è vero che si tratta di un problema di insegnamento e cultura alimentare, perché consumiamo quantità industriali di cioccolato, ricco di alcaloidi – preoccupandoci di più di zucchero e grassi -, e non sappiamo che la patata, il cacao, il caffè e la coca erano droghe già in Sud America, ancor prima di essere importate in Europa – i frutti della patata, non i tuberi, erano utilizzati come afrodisiaci e per l’impotenza. E molti cibi rimangono ancora come “droghe” nella nostra dieta, se si pensa a quante erbe sono alla base della mixologia (letteralmente “l’arte di seguire una sequenza o una formula per produrre un drink standard”), e se si pensa che un sorso di Campari o vermouth come aperitivo pre-pasto stimola la salivazione, la secrezione dei succhi gastrici e regolarizza la peristalsi nell’intestino, promuovendo una migliore digestione, grazie al solo utilizzo delle piante – selvatiche! – utilizzate nella composizione del drink.

raccolta estiva alle isole Føroyar: si distingue l'Angelica archangelica L. tipica dei paesi scandinavi

RICETTE

Molti piatti della tradizione italiana sono legati alle raccolte dei nostri avi, come il preboggion ligure, che letteralmente significa “pre-bollire” (in alcuni paesini sta a significare anche “mescolanza”) ed è una pietanza di diverse erbe selvatiche semplicemente scottate. Nella parte orientale della provincia di Genova (nello Spezzino il termine non è tradizionale) la ricetta è la seguente:

Ingredienti: un kg di erbe (amarago, bietola selvatica, borragine, cicerbita, cicoria, dente di leone, grattalingua, ortica, papavero, radicchio selvatico, raperonzolo, pimpinella, silene, tarassaco), 3 spicchi d’aglio, un cucchiaio di olio, un cucchiaio di aceto di vino rosso, un rametto di rosmarino, tre foglie di salvia, una tazzina di pane grattugiato bagnato nel latte, due patate, sale q.b.

Procedimento: pestare l’aglio e salarlo. Sbucciare le patate e tagliarle a pezzi. Lessare le erbe e le patate. In una padella far scaldare l’olio, aggiungere aceto, battuto d’aglio, salvia e rosmarino e soffriggere leggermente. Le erbe dovranno essere scolate ma ancora calde e andranno versate nel soffritto. Aggiungere le patate e far raffreddare. Cospargere di pangrattato e servire freddo.

In Puglia il tipico piatto contadino sono le cicoriette: la semplicità la fa da padrona, e così cicoria (Cichorium intybus L., 1753), tarassaco (che evidentemente non è la cicoria, anche se in gergo lo si chiama così), u s’von (Sonchus oleraceus L.), e altre che si ricordano ovviamente con nomi dialettali (u’ marasciul, le erbette amare che crescono nelle vigne; u’ caccialepr, etc.) vengono semplicemente scottate in padella con aglio, olio e peperoncino. Accompagnate da una fetta di pane caldo abbrustolito e dal purè di fave sono una cena favolosa, ricca di sapore, nutriente e speciale.

È interessante conoscere le numerose soluzioni trovate dall’uomo per conservare erbe, bacche, radici, etc., mantenendo inalterate le loro proprietà e soprattutto il loro sapore, magari quando non era ancora stata inventata l’energia elettrica ed il clima era diverso ed impelleva preparare il raccolto per l’inverno. Ma di questo parleremo la prossima volta.

 

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