
Straordinario successo di pubblico per la prima esecuzione italiana della “Cantata per il XX anniversario della Rivoluzione d’Ottobre op. 74” di Sergej Prokofev all’Auditorium di Milano.
Composta nel 1937, in occasione del rientro in patria del compositore russo dopo vent’anni di peregrinazioni tra America ed Europa, non poté essere eseguita prima del 1966.
L’opera si rifa alla tradizionale forma della cantata, vale a dire una sequenza di numeri musicali con e senza testo, di finalità etica, con la partecipazione del coro e senza allestimento scenico. La geniale creatività di Prokofev trasforma la cantata in un vero e proprio monumento alla Rivoluzione d’Ottobre, facendo il paio con il celebre libro del giornalista americano John Reed ”I 10 giorni che sconvolsero il mondo”.
I testi riprendono citazioni da Marx, Lenin e Stalin, in ordine cronologico e per la loro valenza simbolica. I dieci brani rappresentano altrettante fasi del percorso rivoluzionario dei bolscevichi, la preparazione, la lotta, la vittoria e la stabilizzazione. Per rendere al meglio i colori e l’atmosfera di quel periodo così concitato della storia dell’umanità, Prokofev fa uso di strumenti popolari, come la fisarmonica, e di suoni artificiali, come una sirena. Gli strumenti, infine, vengono utilizzati al pieno delle proprie potenzialità con profusione di effetti descrittivi, come i secchi colpi di rullante che evocano vividamente spari di mitragliatore.
Il coro è impiegato massicciamente e l’orchestra è al completo, frastornando l’ascoltatore con dei crescendo di insolita potenza, il grido trionfante di un intero popolo che risuona nella sala da concerto.
Sebbene la tinta malinconica tipicamente prokofeviana non sia del tutto assente, è innegabile un generale senso di fierezza e di potenza che questa Cantata emana fin dal principio. Si tratta del resto di un inno ad una rivoluzione che aveva portato una monarchia assoluta al collasso, proponendo per la prima volta al mondo un modello di gestione dello Stato e di organizzazione della società radicalmente egualitario e progressista. A prescindere da ogni giudizio politico posteriore, la storia dell’Unione Sovietica offre uno straordinario elenco di primati in ogni settore, che ebbero una grande eco in tutti i Paesi del mondo e di cui ancora oggi viviamo molti frutti. Primo elemento fra tutti, il ruolo delle donne nello Stato, nelle Università, nell’esercito e nel mondo cultuale.
Fu sovietica la prima donna direttrice d’orchestra, Veronika Dudarova, quasi completamente anonima in occidente, titolare dell’Orchestra Sinfonica di Stato di Mosca dal 1947 fino alla dissoluzione dell’URSS.

L’esecuzione, di importanza storica per il nostro Paese, è stata anticipata dalla celeberrima Sinfonia n. 6 di Petr Ilic Ciajkovsky, la cosiddetta “Patetica”. I due lavori non hanno molto in comune, se non il numero 74 dell’opus cui sono iscritti, ma entrambi sono emblematici della propria epoca.
La sinfonia di Ciajkovsky, testamento poetico del compositore pietroburghese, è un affresco struggente del sentimentalismo e del romanticismo declinato dal niveau culturale pietroburghese dell’ottocento. Una rivisitazione in stile russo, che è sempre per antonomasia malinconico e nostalgico, della grande musica occidentale, italiana, francese e tedesca in particolare.
Lo scarto fra la sinfonia di Ciajkovsky e la cantata di Prokofev è netto, nonostante la profonda ammirazione di quest’ultimo per la tradizione musicale russa e occidentale e i moltissimi tributi che egli le rese in diverse composizioni. Il balzo in avanti che la Cantata dimostra, porta il panorama musicale russo ben oltre i traguardi raggiunti da Stravinsky e già pronto a ricevere l’insegnamento di Shostakovich.
Il maestro Oleg Caetani dirige la Sinfonia di Ciajkovsky senza spartito, con la dimestichezza che l’esperienza gli conferisce e grazie ad una profondissima conoscenza della materia. Le armonie e le melodie risuonano con insolita limpidezza, proponendoci con sguardo schietto l’interrogativo ciajkovskiano: qual è il programma di questa “sinfonia a programma”? Dirlo è impossibile, nonostante una direzione davvero magistrale.
Caetani, ultimo discendente di nobile famiglia, per primo in Italia si cimenta nella Cantata per il XX anniversario della Rivoluzione d’ottobre, ironia della sorte. Del resto, Oleg Caetani è figlio del compianto maestro Igor Markevitch, che compose nel 1929 un celebre Concerto per piano su commissione di Sergej Djagilev, dei famigerati Balletti Russi, per i quali lavorò anche Sergej Prokofev.
Con questo spartito Caetani dimostra una profonda ammirazione per Prokofev, di cui tenta un’interpretazione scevra da ogni implicazione politica, la cui opera pure è pregna. Nella sua esecuzione abbiamo ammirato la mera musicalità, senza ricercare né il sensazionalismo di una retorica dell’orgoglio, né i facili risvolti di una lettura dissacrante o satirica. Un’interpretazione che ha meritato la lunga ovazione del pubblico gremito nella colma sala dell’Auditorium di Milano.
