A tu per tu con Domenico Diele

Intervista all'attore attualmente protagonista nella serie Sky di grande successo 1993, sequel della fortunata 1992, accanto a Stefano Accorsi, Miriam Leone, Guido Caprino e Tea Falco

Faccia pulita, grandi occhi chiari e sorriso da bravo ragazzo, Domenico Diele, 31 anni, già vanta una carriera ricca di successi tra cinema, teatro e tv. È attualmente protagonista nella serie Sky di grande successo 1993, sequel della fortunata 1992, accanto a Stefano Accorsi, Miriam Leone, Guido Caprino e Tea Falco. Domenico interpreta Luca Pastore, un poliziotto che lavora al fianco di Antonio Di Pietro. Astuto ed intelligente, Pastore continua la sua indagine sulla sanità sempre più corrotta e priva di scrupoli. La sua è anche una battaglia personale contro un sistema che ha permesso all’hiv di contagiarlo attraverso una trasfusione di sangue infetto. Diele ci offre un’interpretazione molto credibile, come è nel suo stile. Noi di Fermata Spettacolo lo abbiamo intervistato in una lunga ed interessante chiacchierata.

Recentemente ti abbiamo visto in In treatment, C’era una volta Studio Uno, Di padre in figlia e ora sei nuovamente Luca Pastore, in 1993. Quale tra questi ruoli ti ha dato di più umanamente?

Un grande privilegio che ti regala il mestiere dell’attore è quello di dare vita ad un personaggio di finzione facendoti mettere nei panni di qualcun altro,  abbandonando così qualsiasi pregiudizio morale. La necessità di rappresentare la parte ti costringe a capirne profondamente le motivazioni, fino a farle completamente tue quando reciti. Per questo, ogni personaggio mi restituisce un arricchimento in termini di consapevolezza e umanità.

Tra tutti i personaggi che hai interpretato finora ce n’è uno che si avvicina almeno in parte al tuo modo di essere?

Giocando con le sostituzioni, attingo al mio vissuto e ai miei ricordi. Tento di far vivere il personaggio nelle sue varie forme e questo lo faccio in ogni lavoro. A furia di questa pratica, confesso di essere un po’ confuso riguardo al “mio” modo di essere.

Perché?

Perché avere una personalità molto particolare o invadente in qualche modo diventa un limite per il lavoro.



Sei tra i protagonisti di 1993, come ti hanno scelto?

Attraverso dei provini, se non sbaglio tre.

Sei subito entrato in sintonia con il personaggio?

Oh no! Il mio rapporto con Luca Pastore ha avuto un inizio tormentatissimo. Stavo girando in Trentino La foresta di ghiaccio, un lavoro a cui mi stavo dedicando in modo totalizzante, quando scoprii che ero stato scelto per il ruolo. Leggevo i copioni dopo le riprese, a letto prima di dormire. Inoltre per una serie di sfortunate coincidenze avrei dovuto iniziare con Pastore in 1992 a 24 ore di distanza dall’ultimo ciak che avrei fatto sulla Foresta. Non sapevo quando inventarmi il tempo per la preparazione del ruolo che presentava delle caratteristiche stilistiche estremamente difficili da rendere in scena, se non dopo averci preso la mano con l’esperienza. Ero terrorizzato. Provando ad abbozzare le prime battute, mi convincevo dell’estrema difficoltà che avrei avuto nel diventare Pastore. Il primo mese di riprese a Milano è stato uno dei più duri da quando faccio questo lavoro. In seguito è andata molto meglio di quanto credessi allora!

Luca avrà un’evoluzione?

Spero per lui di sì! In 1993, parallelamente al suo percorso di indagine poliziesca, lo osserveremo nel tentativo di affrancarsi dal suo rapporto con la malattia (AIDS n.d.r.). La contrazione del virus ha rappresentato per lui un trauma talmente forte da rimanere immutato nonostante il tempo. Questa disgrazia lo ha ricacciato nella più totale solitudine che tanto ha combattuto fin dall’infanzia. Ciò lo ha privato di tutto, ad eccezione della sua grande auto familiare che ancora lo accompagna come memento della vita che gli hanno portato via. Lo muove ormai soltanto una sete di vendetta, disperata e cieca. La vicinanza di una nuova conoscenza (interpretata da Camilla Semino Favro) sieropositiva come lui, lo invoglierà a cercare il coraggio di riprendere possesso della sua vita, al netto della malattia. Capirá finalmente che la vendetta, anziché tenerlo in vita, lo sta consumando.

Cosa vuol dire per te recitare?

C’è qualcosa di estremamente liberatorio nella recitazione. Una sensazione simile a quella che si prova da bambini quando si sta giocando con totale trasporto. Questa sensazione è la prima cosa che associo alla recitazione.

Quando hai capito di avere questo talento?

Cerco di non vederla in questi termini. Anzi credo che sia ingannevole tutta la faccenda del talento. Mi concentro solo su ciò che dovrò fare.

Sul set di 1992 e 1993 sono nate delle amicizie fra attori?

Assolutamente sì. Si è creato un bellissimo gruppo che si vede spesso e si sente spessissimo. Sembra la solita banalità da dire ma è vero che in questo gruppo di lavoro il rapporto fra attori, sceneggiatori e regista si è distinto per uno spirito di squadra che si è andato sempre più rinsaldando e affiatando.

Potendo scegliere, oltre Pastore, chi avresti voluto interpretare in questa serie tv?

Bella questa! (ride) Credo che la risposta sia prevedibile: Pietro Bosco. Il personaggio è stato servito in modo magistrale da Guido (Caprino n.d.r) ma se questi copioni fossero materia di studio in un laboratorio di recitazione dove ogni attore possa confrontarsi con le parti che gli interessa esplorare, è a Bosco che avrei guardato dopo Luca.

Un tuo pregio e un tuo difetto.

Mmm… Dedizione il pregio e incostanza il difetto.

Sei una persona emotiva o razionale?

Razionale per codardia (ride)

Cosa ti piace fare nel tempo libero?

Visitare luoghi d’arte, guidare la motocicletta, un po’ di sport, guardare  film e viaggiare ogni tanto.

Sei ambizioso?

Non esageratamente

Che cos’è per te la bellezza?

Credo abbia a che fare con il pathos.



In quest’epoca “social” tu sai esserlo senza diventarne schiavo e conservando la giusta riservatezza  con il garbo di un gentleman inglese. Merito dell’educazione familiare o del tuo modo di essere?

Entrambe le cose, con l’aggiunta di una mia deformazione professionale al contrario, se così si può dire. Nei miei primi anni da attore, la mia carriera procedeva tra compagnie autogestite e spettacoli quasi autoprodotti. Ci esibivamo in teatrini che raramente superavano gli 80 posti. Per cercare di farci coraggio ed avere la fiducia necessaria  era importante per noi rendere gli spettacoli riusciti anche dal punto di vista economico. Parliamo di cifre utili non più simboliche. Questo però si traduceva in un’attività frenetica, una lotta costante di messaggini a tutti i numeri in rubrica per cercare di riempire la sala per la replica. Alla lunga diventò svilente. Quando ho cominciato a lavorare in tv e al cinema, ossia in ambiti produttivi completamente diversi, ho creduto di essermi finalmente liberato dal giogo dei messaggini. Penso che la mia attività social, dal punto di vista dell’auto-promozione, sia ancora figlia di questo. Anche se istintivamente mi sembra una cosa di cattivo gusto farsi pubblicità. Tuttavia so che è un controsenso nel mio lavoro.

La tua professione ti ha cambiato in qualcosa?

Questa professione ha cambiato tutta quanta la mia vita

Con quale attore o attrice che hai incrociato si è creata maggior sintonia?

Gli attori con cui ho lavorato più a lungo e più prolificamente sono sconosciuti al grande pubblico. Riguardo i nomi più noti, mi sono trovato benissimo in scena con Adriano Giannini o con Antonio Folletto con cui ho lavorato su due set diversi. Con entrambi sono amico anche nella vita. È stato un grande onore recitare con Gigi Proietti.

Qual è stato il momento più difficile sul set (film o fiction)?

Forse il finale de La foresta di ghiaccio. Ci mettemmo tre giorni a girarlo. Riuscire a far rivivere in me lo stato del personaggio in quella scena, al terzo giorno… ero un po’ al cappio. Un po’ parecchio.

E il momento più bello?

L’ultimo giorno di riprese di Acab. Era quasi l’alba, allo stadio Olimpico davanti al ponte Duca D’Aosta. Io non ero previsto in scena ma andai lo stesso. Dopo il ciak finale mangiammo un cornetto e un cappuccino ad un bar lì attaccato lungo il Tevere. Sai, triplice fischio, invasione di campo, boati… quelle emozioni lì, mentre mi bevevo il cappuccino.

C’è un regista con cui ti piacerebbe lavorare?

Guy Ritchie

Sei un attore decisamente versatile e sempre credibile. Se non fossi riuscito a sfruttare questo tuo  talento, cosa avresti fatto nella vita?

Non lo so davvero. Le cose fino ad ora sono andate in modo tale da non dovermi porre questo problema.

Per concludere, se tu potessi cosa augureresti a Luca Pastore?

Pace

Cosa auguri invece a Domenico?

Idem

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