Guardiani della Galassia di James Gunn

[rating=4] Divertente oltre ogni immaginazione, coraggioso, a suo modo rivoluzionario. Gli attesi Guardiani della Marvel battono tanto a zero i Vendicatori. La regia di James Gunn vince la scommessa degli Studios e conquista il pubblico. Cultura pop, gag inedite, personaggi irresistibili e un pizzico di “stile Lucas” completano quello che con ogni probabilità è il miglior film Marvel ammirato finora.

Probabilmente la miglior lode di un cinecomic proviene da un non-estimatore del genere. E allora lasciatemi dire quanto piacevole sia stata la visione di Guardians of the Galaxy, il nuovo super film Marvel nei cinema italiani a partire dal 22 ottobre. Il primo grande complimento è che il film funziona alla grande. “It works” per dirla all’americana. Si piange, si ride, ci si commuove e poi ci si sbellica. A ripetizione. Un climax inarrestabile, che ti fa ignorare alcuni piccoli difetti di narrazione. Ma al ritmo della musica pop Anni ’80 tutto è concesso. Il regista James Gunn si è dimostrato comunque, e assolutamente, l’uomo giusto per curare forse l’adattamento più importante e delicato della Fase 2 del Marvel Cinematic Universe. E a proposito di universo, ma siamo davvero davanti al nuovo Guerre Stellari? Molti storceranno (giustamente) il naso. Davvero possiamo accostare l’ultimo prodotto di casa Marvel a una pellicola che è entrata di diritto nell’immaginario collettivo di tutti gli abitanti del pianeta Terra, come può esserlo il Far West o un quadro di Michelangelo? Certo i punti in comune non sono pochi. Il più evidente è con ogni probabilità la caratterizzazione di personaggi che potremmo definire “alla Lucas”. Non ci vuole un genio a intuire una corrispondenza tra il gigante arboreo Groot e il mastodontico wookie Chewbecca di Guerre Stellari: forte, leale, capace di comprendere il linguaggio altrui, anche si esprime in maniera incomprensibile (se non a che lo conosce a fondo). Dall’altro lato, però, è evidente una povertà narrativa che si rivela nella sceneggiatura: banale, leggera, de-focalizzata. La ragione principale di questo “difetto” può dirsi congenita, perché riguarda la crescente “serializzazione” delle pellicole. Ogni singolo film diventa il tassello di un puzzle. Ergo, ogni pezzo ha la sua funzione e i suoi particolari incastri.

GUARDIANI DELLA GALASSIA

La funzione di questo film è quella di presentare al mondo alcuni personaggi Marvel, possibilmente nella maniera più politicamente scorretta che c’è. Potevamo assistere all’ennesimo primo capitolo di una saga in cui si conosce il tutto a grandi linee e ci si appassiona. E invece James Gunn è riuscito a innovare anche questo costume, superando (forse) la lezione di Jon Favreau e Joss Whedon. Ci è riuscito attingendo alle soluzioni della comicità “spicciola” televisiva di matrice americana, quella della cosiddetta “fascia protetta”, e dell’animazione per adulti. Il risultato è sorprendente, e probabilmente costringerà J. J. Abrams a correggere la rotta del “suo” settimo capitolo della saga, se non vuole risultare banale e “già visto”. Disney permettendo, è chiaro. Una grande mano sicuramente l’ha data il fumetto di partenza, privo di un’iconografia pensante da rispettare religiosamente, pena la furia dei fan. Ma i meriti dell’adattamento sono enormi. A cominciare dalla musica. Guardiani della Galassia è un film a tutta pop music, con il miglior David Bowie in pole: inebriante la sequenza del film “commentata” dalla sua Moonage Daydream (già colonna sonora di un altro grande esempio di cinema sci-fi, The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars). Senza contare Blue Swede, Raspberries, Norman Greenbaum, Jackson 5, The Runaways, The Five Stairsteps, Marvin Gaye. Il film di Gunn fa sua l’atmosfera degli Anni ’80 e la rielabora in un contesto inedito, sporcandosi dell’alienazione infantile alla Spielberg.

Peter Quill è un bambino introverso, con lo sguardo basso e le cuffie del suo amato walkman sulle orecchie. Sua madre è malata e non ce la farà, ma fa in tempo a regalare al suo pargolo un pacchetto e le sue ultime parole: “Dammi la mano, Peter”. Poi la corsa disperata fuori dall’ospedale in un cortile che sa di post-apocalisse, il rapimento da parte di una navicella aliena e una vita da fuorilegge intergalattico (soprannome: Star-Lord). E siamo solo all’inizio. Perché è ora che entra in scena Chris Pratt, bello, tenebroso e su di giri: esegue missioni pericolosissime a ritmo di pop, ballando e facendo battute, col suo walkman sempre in tasca. Sulla sua strada incontrerà la verde e sensuale Gamora (Zoe Saldana), assassina per tradizione di famiglia e desiderosa di redenzione. La squadra dei Guardiani si completa con Drax detto “Il Distruttore” (David Bautista), che da un giorno all’altro passerà dalla solitudine della prigione alla condivisione di un ideale di giustizia con i suoi nuovi amici. Ma il meglio deve ancora venire. Perché Bradley Cooper è magistrale nei panni o, meglio, nella pelliccia di Racoon – detto ‘Rocket’ – un cacciatore di taglie spaziale, un criminale dal cuore duro che alla fine scopre il valore dell’amicizia. Tutto normale, se non fosse che il personaggio in questione ha le sembianze e l’altezza di un procione (o orsetto lavatore, se preferite). Niente a che vedere con gli adorabili esemplari di Una notte con Beth Cooper (2009) diretto da Chris Columbus. No, questo procione è un pazzo criminale, tendente alla paranoia aggressiva, dedito alla messa in atto di piani geniali quanto letali e con una mimica che è già cult. Il lavoro combinato in cgi di Bradley Cooper e della Framestore è stato davvero brillante, considerando anche che non hanno fatto ricorso ad alcuna motion capture. Anche la sua, tanto per cambiare, non è una storia felice: la sua forma attuale deriva da una terribile serie di torture, esperimenti genetici e riassemblamenti che ne hanno annullato l’aspetto umano e (prima dell’incontro con gli altri Guardiani) la capacità di provare sentimenti che non fossero il piacere sfrenato di sparare. Ma il vero idolo delle folle, la vera star è lui: l’albero umanoide Groot, alias Vin Diesel. Grottesca evoluzione dello Chewbecca lucasiano, Groot comunica attraverso un’unica frase: “Io sono Groot”. Ma a Racoon non basta altro per comprenderlo. La sua parabola narrativa è indovinata e avvincente, con tanto di stacchetto finale con “ballo in un vaso” che preferiremmo non trattare troppo, causa possibili spoiler.

GUARDIANI DELLA GALASSIA

I riferimenti cinematografici si sprecano, e per una volta solo nel senso buono nel termine. A partire dall’omaggio a Spielberg (non solo quello di E.T., ma anche di Incontri ravvicinati del terzo tipo) in apertura, per arrivare fino all’esplicito riferimento a Footloose e al Kevin Bacon diretto da Herbert Ross (in una scena che sembra segnare la svolta “romantica” e invece entra fra le più divertenti del film). Il tutto passando per Cantando sotto la pioggia e per i rimandi al cinema d’animazione contemporaneo. Niente male per un film che non è né fantasy, né sci-fi, né cinecomic “fatto e sputato”.

Un esercizio riuscitissimo di contaminazione “radical-cartoon”, emblema di un’inventiva digitale che potremmo definire (quasi) “new Marvel”. Dopo sequel e contro-sequel di cinecomic e blockbusters al gusto di sci-fi action, i Marvel Studios riscrivono le regole (senza esagerare, eh) della comicità del fumetto sul grande schermo con una strutturazione del dialogo basata sulle gag. Da sbellicarsi, aggiungiamo noi.

E ora che farà J. J. Abrams? Fra poco più di un anno (ri)darà in pasto ai cinefili di tutto il mondo i vari Han Solo e Luke Skywalker, dopo aver assistito a quello che sicuramente sarà un successo – è il caso di dirlo – spaziale. I Guardiani hanno battuto i Vendicatori, abbiamo detto. Ma saranno anche in grado di superare i (nuovi) vari Ribelli e Jedi? Che la Forza sia con lui.

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