
[rating=3] Jos De Putter, protagonista di una retrospettiva nel 2014 e oggi membro illustre della giuria internazionale, propone qui una serie di video, da lui selezionati e prodotti, che gli sono giunti su questa piattaforma. Totalmente riservata agli iscritti, per evitare la dipendenza da pubblicità, De Correspondent ha riscosso un successo immediato: più di 20.000 adesioni in un solo mese a fronte di 60€ d’iscrizione all’anno. Ciascuno può contribuire alla discussione, portando la propria testimonianza.
Si tratta principalmente di testi scritti, a cui si è aggiunta una piccola sezione video, di circa 50 film (tra cui quelli selezionati per il Festival) dal nome “On The Ground”. Filmati narrati in prima persona, in cui il narratore ha un legame diretto con gli eventi che mostra. Emersioni dai territori, dalla vita misera, vera e quotidiana. Non si accettano notizie, nessun giornalista (ahimè!), né filmmaker. Tutti, in fondo, lo sono e grazie alle nuove tecnologie possono raccontare liberamente, con il proprio linguaggio e direttamente, la loro storia. Sono voci che accorciano le distanze, che rendono vicino ciò che i media tradizionali allontanano, in immagini cariche di sangue, ma prive di respiro.
Voci con cui il Direttore, Alberto Lastrucci, invita a giocare, trovando le corrispondenze tra il cortometraggio di Jean Counet e il successivo film di Stevan Riley su Marlon Brandon. Proviamo a chiamarle “voci d’altri mondi”, poiché, qualunque sia la misura o la dimensione, vengono da un Altrove che ci riguarda tutti, indistintamente.
Domenica 29 novembre, Cinema Odeon, ore 21:30. Dopo Biking for Yemen (Nina Aqlan e Bushra Al Fusail, 2015), film proiettato nella stessa sala il giorno precedente, è Calling Ukraine, di Jean Counet, prima italiana al Festival dei Popoli, a portare un’inedita testimonianza: la guerra civile in Ucraina come nessun media l’ha mai raccontata. Dal punto di vista delle persone, che tentano di sopravvivere e ritrovare la loro pacifica routine.
Il quadro è dominato dal viso dolce e imponente di Ira, anziana signora che, dalla Lettonia, si tiene in contatto con la sorella e la nipote, di stanza a Donetsk, mediante Skype. Già lo scorso anno in [Suria]: un tuffo nell’acqua d’argento (Leggi la recensione), si è visto come questo mezzo di comunicazione aiuti le popolazioni in guerra a portare le informazioni, e le emozioni, oltre la “cortina di ferro” che li divide dal resto del mondo.
Bombardati e privati di tutto, senza poter fuggire, perché ogni mezzo è bloccato o inservibile, gli ucraini occidentali sono costretti a vivere di espedienti e a rimanere saldi. Per i bambini. Nel secondo colloquio infatti, Ira si commuove e la sorella le chiede di non farlo, per non impressionare i bambini, che assorbono tutte le emozioni degli adulti e sono spesso tormentati da incubi.
È un cortometraggio, non c’è molto da descrivere: c’è piuttosto bisogno di ascoltare ed entrare in empatia con quel volto in lacrime, che si strugge, per la preoccupazione impotente di sapere i propri cari in pericolo. Senza che vi sia un modo di aiutarli.
Sentirli ogni giorno, per sapere se sono ancora vivi, come stanno. E poi ripiombare nello sconforto, fino alla prossima chiamata. Sconforto che non ci viene mostrato, ma che è ovvia conseguenza di quelle lacrime “in scena”. C’è forse da augurarsi questo: che la guerra, in fondo, non sia altro che un’orribile messinscena. Ci vediamo al cinema!