Blue Jasmine di Woody Allen: un film tanto poetico quanto spietato

[rating=5] Provaci ancora, Woody. E Woody ci ha provato. E ha decisamente fatto centro. Dopo To Rome With Love la schiera di coloro che teorizzavano già un Allen post-Allen in chiave falsamente post-modernista si era allungata a dismisura. Blue Jasmine è un film tanto poetico quanto spietato, che riesce a sbattere in faccia allo spettatore un fallimento totale, esistenziale, senza scadere mai nell’analisi psicologica fine a se stessa. Jasmine è a pezzi (per citare un’altra grande prova del cineasta newyorkese), proprio come l’andamento della narrazione, e i suoi pezzi li ritrovi un po’ qua e un po’ là, come le sue scatole di Xanax. La voce e i pensieri della protagonista assumono il punto di vista predominante, lasciando allo spettatore il compito di riunire i pezzi, ancora una volta, di un puzzle di presente e passato, identici ed inestinguibili dal punto di vista visivo (luce, consistenza e peso narrativo dei flashback sono gli stessi delle sequenze principali). Certo, una Cate Blanchett in tale stato di grazia farebbe la fortuna di qualsiasi film: patetica, insicura, ridicola, testarda, fragile, capace di restituire tutte le sfumature di un personaggio complice e insieme vittima del proprio destino. Perché il destino di Jasmine è quello di perdere tutto: dal nome (in principio si chiamava Janette) alle ville, dal marito (interpretato da un convincente Alec Baldwin) all’autocontrollo. Completamente ammaliata dalla repentina scalata verso la ricchezza e dal suo compagno Hal, un uomo d’affari che ha spalato miliardi a suon di truffe, la protagonista non batte ciglio quando si ritrova a firmare contratti di cui non conosce il minimo dettaglio. Le sue preoccupazioni sono pari a zero, sicché i suoi unici impegni riguardano l’organizzazione di party mondani, vacanze in yatch e raccolte di beneficenza. Ma i guai non tardano ad arrivare. Col progredire della narrazione, scopriremo che la frantumazione degli idoli e della falsa vita che Jasmine si è costruita è avvenuta anche prima del crac definitivo (si vedano le varie scene in cui lei dapprima nega, sospetta, scopre e infine denuncia le avventure extra-coniugali del marito). Il filo rosso che tiene insieme le varie parti della vita della protagonista è rappresentato dalle note di Blue Moon, la canzone che Jasmine crede talvolta di sentire e che riannoda i ricordi della protagonista e ne sancisce l’oblio.

Blue Jasmine di Woody Allen

Ma Jasmine è anche un personaggio che riesce a ricominciare tutto da capo, rifugiandosi dalla ripudiata e umile sorella Ginger (interpretata da un’ottima Sally Hawkins) e riaprendosi all’amore. Ma il fallimento ritorna. E resta. Jasmine incarna in questo senso il più alleniano dei temi: il vuoto etico totale. La sua incapacità di “(ri)costruirsi” è l’immagine secca dell’America della crisi, dove anche una esponente dell’alta società può precipitare in una realtà insostenibile di povertà inedita. Una crisi che, come afferma lo stesso regista, “riguarda l’intera società, dall’alto borghese all’impiegato e giù, fino al povero; tutti hanno fatto un passo indietro”. E continua, a proposito della trama: “Ho cercato di pescare all’interno di questo mare di negatività un dramma individuale, un’autentica tragedia greca di una donna dell’alta borghesia che arriva a perdere ogni cosa”. L’europea ma operaia San Francisco sostituisce New York e le capitali europee, solo evocate, permettendo così ad Allen di ritrovare una realtà americana da troppo tempo assente dal suo cinema. La macchina da presa, servita da Javier Aguirresarobe, bracca la protagonista con una tenerezza feroce degna dei grandi hollywoodiani: dal rigore di Cukor allo sguardo straniante di Leisen o Borzage, potremmo dire.

Blue Jasmine di Woody Allen

Il segno fortemente “meno” del personaggio di Jasmine emerge ancor di più se comparato alla funzione attanziale di quelli secondari. In questo senso salta agli occhi la “simpatia” che Allen nutre nei confronti dei personaggi semplici di spirito come la sorella Ginger e i suoi rozzi compagni (ben interpretati da Bobby Cannavale, Andrew Dice Clay e Louis C. K.), perché esposti alle delusioni come tutti, ma abbastanza concreti da cercare soluzioni rapidamente, senza trasformarsi in un terrificante buco nero per se stessi e per il prossimo.

Dopo il criticato tour di film europei, Woody Allen torna insomma ai fasti di capolavori del calibro di Match Point e Annie Hall. Lontano, certo, dal montaggio sincopato e sognante di Harry a pezzi o di Basta che funzioni e lontanissimo dalle sollecitazioni culturali di Midnight in Paris. Un po’ più vicino in questo senso allo spirito del recente Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, Blue Jasmine è forse il più essenziale e glaciale dei lavori di Woody Allen, che sembra passare dal jazz accogliente e referenziale delle origini a un lamento in pieno stile ‘blues’. Il suo esercito di personaggi fortemente caratterizzati, al di là del puro macchiettismo, si popola dunque di un altro prezioso cimelio. Alla faccia degli anni che passano e delle lenti che si inspessiscono. Perché gli occhi osservano il mondo sempre con il solito, ironico sguardo.

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