¡AY CARMELA! al Palladium, un Sinisterra che purtroppo non resiste al tempo

Ferdinando Ceriani porta a Roma l'opera di Josè Sanchis Sinisterra in seno al festival Herencias in una versione forse più didascalica che poetica

Elisa Di Eausanio e Andrea Lolli in ¡AY CARMELA! in scena al Teatro Palladium dal 6 all'8 maggio 2025.
Elisa Di Eausanio e Andrea Lolli in ¡AY CARMELA! in scena al Teatro Palladium dal 6 all'8 maggio 2025.

Confondere la profondità di un tema storico e l’aspetto assolutamente necessario della sua trasmissione con la qualità (e l’inossidabilità temporale) di un’opera d’arte, è accidente in cui negli ultimi vent’anni mi è capitato di incappare spesso. Accidente capriccioso su cui ho visto scivolare in teatro parecchi profili. Purtroppo è accaduto anche in ¡AY CARMELA! di Josè Sanchis Sinisterra, in scena al Palladium di Roma dal 6 all’8 maggio 2025 con la regia di Ferdinando Ceriani per il festival Herencias, un ciclo di eventi teatrali dedicati alla cultura ispanica.

Sì perchè in ¡AY CARMELA! vince il tema a mani basse. Il contenuto invece e soprattutto la sua capacità evocativa, no. A ciò si aggiunga il fatto che il tema in questione non riguarda strettamente il nostro background socio-culturale. Dunque fra noi poveri spettatori ignavi e quanto si consuma sulla scena è plausibile si crei un certo inevitabile “distacco”. In giornalismo si parla di notiziabilità geografica. Per farla spiccia, più un fatto è logisticamente lontano nello spazio e in questo caso pure nel tempo, meno ci interessa.

Eh ma allora tutte le opere che parlano del passato non ci interessano più? Certo che ci interessano, ma solo nella misura in cui sono ancora in grado di agganciarsi al nostro sentire contemporaneo. Non importa che si parli delle avanguardie novecentesche o del 300 d.C., quello che conta è banalmente riacciuffare all’interno di quelle storie un singulto di universalità. Purtroppo non succede a tutti i prodotti creativi. Alcuni sopravvivono alla ruggine del tempo, altri semplicemente si sganciano. Anche quelli che a lungo sono stati  per un popolo o un’epoca lo specchio ideale, o parafrasando Brecht, il martello che li ha scolpiti.

Per quel poco che mi è concesso di osservare e “giudicare”, ¡AY CARMELA! ha mancato la presa. A completare, ahimè malaccio, il quadro che ho potuto ricostruire della pièce, l’assoluta ignoranza della sottoscritta in merito alla produzione e dunque alla poetica teatrale di Josè Sanchis Sinisterra. Treccani online sopperisce brevemente alla mia imperdonabile lacuna, informandomi della sua produzione di drammaturgo e regista spagnolo pluripremiato.

Visto che mi trovo ammicco pure all’amica Wiki per qualche dettaglio storico, dato che la mia conoscenza delle vicende legate alla guerra civile spagnola, evidentemente oggetto di ¡AY CARMELA!, rimangono ancorate a una limitatissima circoscrizione scolastica. Potete a questo punto della recensione astenervi dall’andare oltre nella lettura per sacrosanto sdegno. Per gli audaci invece, proseguirò scrivendo che data questa latitanza nozionistica, ho fruito lo spettacolo nei termini puri e crudi di una spettatrice media senza particolare preparazione propedeutica.

Mi è sembrato uno spunto utile per osservare in che modo una pièce di cui non sapevo assolutamente nulla, poteva in qualche modo parlarmi. Magari scrivere fecondi pensieri sulla lavagna tristemente vuota de mi alma. Non è successo. Lo dichiaro con non poca amarezza e il mio implacabile corazon critico ahimè non ha fatto che cercare di sopravvivere faticosamente alla fine della messa in scena.

Fatta esclusione per la splendida performance dei protagonisti Elisa Di Eusanio e Andrea Lolli, rispettivamente nei panni di Carmela e Paulino, due attori che cercano di campare alla bell’è meglio col loro spettacolino di varietà nel bel mezzo del conflitto civile che vedrà contrapposte le forze repubblicane e quelle nazionaliste in Spagna fra il ’36 e il ’39, io non ho assimilato granché. Nè dal punto di vista storico (cosa che m’avrebbe giovato assai) nè dal punto di vista artistico (anche di più).

Peccato perché l’incontro che aveva preceduto lo spettacolo dal titolo “Atti di resistenza” con ospite Ascanio Celestini, moderatori i prof. Paolo CarusiSimone Trecca e lo stesso Ceriani, era stato ricco di spunti e riflessioni invece interessantissime. Ne ho maldestramente concluso che forse il problema principale di questo mancato innamoramento fra me e la pièce, stava forse nel testo originale. Recuperarne il copione è stata impresa in cui ho cercato di impegnarmi per qualche giorno senza successo. Ho allora ripiegato alla meno peggio sulla pellicola del 1990 di Carlos Saura in lingua originale.

Una scena di ¡AY CARMELA! di Josè Sanchis Sinisterra regia Ferdinando Ceriani.
Una scena di ¡AY CARMELA! di Josè Sanchis Sinisterra regia Ferdinando Ceriani.

Masticando appena lo spagnolo è stata in qualche modo la trama stessa a offrirmi supporto linguistico. In particolar modo nel momento in cui gli sciagurati Carmela e Paulina finiscono nelle mani dei falanghisti a Belchite e si ritrovano a dover mettere su uno spettacolo diretti da un tenente italiano. Manco a dirlo fascista. Il “varietà sopraffino” doveva intrattenere alcuni soldati del fronte nazionalista e dei prigionieri repubblicani che sarebbero stati fucilati all’alba del giorno successivo.

Ora per chi legge ed è comprensibilmente a digiuno del contesto storico-politico aggiungo che i due protagonisti vengono catturati e accusati di parteggiare per il cosiddetto Fronte Popolare, una coalizione di partiti democratici che aveva vinto le elezioni del ’36 e guidava legittimamente la Repubblica Spagnola. A questa si contrapponevano i fautori di un golpe militare i quali, senza entrare troppo nel ginepraio delle vicende politiche, porterà all’ascesa della dittatura di Franco. Ecco Carmela e Paulino sono per dirla con le parole di Ceriani, due disgraziati come Sordi e la Vitti in Polvere di stelle. Senza però conservarne intatta la forza comunicativa aldilà del confine temporale.

Completamente apolitici, Carmela e Paulino si mostrano affabili con chiunque, franchisti inclusi, pur di salvarsi il collo. Li vediamo dunque durante tutto lo spettacolo semplicemente legare l’asino dove vuole il padrone. L’apertura però ci dichiara già il finale. Carmela è morta e Paulino s’è ridotto a spazzare un teatro vuoto con la giubba falanghista. Gli fa visita il fantasma di Carmela e una serie di flashback a ritroso ci raccontano la storia dell’ultimo fatale istante della ballerina di flamenco che in un estremo e inaspettato atto patriottico canta il ritornello antifascista de El Paso del Ebro, appunto “ay Carmela ay Carmela” finendo colpita a morte da un soldato.

Lo spettacolo vero e proprio si consuma dunque tutto nella tragica farsa dello spettacolo che i due devono portare avanti al costo altissimo delle loro stesse esistenze. Il punto è che per due ore questo impianto non regge affatto. Si sfascia anzi rovinosamente dopo i primi venti minuti. La regia di Ceriani che per sua stessa ammissione non adatta il testo e lo restituisce con la massima aderenza ai desiderata del suo autore, non aiuta. Neppure nel momento più solenne della morte in scena di Carmela, che anzi si presenta come un falso finale. Il racconto prosegue ancora per non spiegare né aggiungere niente.

Non c’è ritmo, le battute non decollano, a vincere più che la poesia di una donna comune che decide di gridare alla libertà pagando con la vita, è la scivolata continua verso un finale annunciato. Letteralmente. Gli intepreti sono bravissimi e si spendono con professionalità, ma io che in più d’un occasione li ho visti altrove brillare in palco, specie la Di Eusanio, non posso fare a meno di sentirli quasi sprecati. Il testo non gli rende giustizia e purtroppo neppure l’apporto registico, che sarà pure pulito e scarno come (immagino?) da indicazioni di copione originale, ma purtroppo non si presenta come valore aggiunto.

Il pubblico del Palladium applaude per carità, ma c’è da domandarsi perchè. Era preparatissimo sulla guerra civile spagnola, esperto di cultura ispanica o erano tutti fan accaniti di Sinisterra, altrimenti non c’è spiegazione logica. Anzi c’è. Purtroppo. La solita. La platea era tutt’altro che gremita e forse il target di questa operazione teatrale era volutamente circoscritto ai cultori. Scelta opinabile ma legittima. Allora oltre al fantasma di Carmela in platea aleggiava pure quello del pubblico vero, reale, in luogo dell’intellettuale preparato e compiaciuto di esserlo.

Ma chi scrive sta deviando pericolosamente verso la bacchettata e non va bene. ¡AY CARMELA! è un prodotto tecnicamente ben fatto, il testo però evidenetemente non ha retto l’urto del tempo. Oggi non restitusce allo spettatore quel che dovrebbe, non ci fa uscire dalla sala colpiti e coivolti. Certamente non con la voglia di raccomandarne la visione a qualche amico. Il tema e la storia però ci sono. Sopravvivono nostro malgrado genuini e validi, ma senza voce, come Gustavete, il ragazzetto muto che non compare neppure mai in scena. E allora per dirlo col canto El Paso del Ebro: “Niente posson le bombe dove rimane del cuore…” Ecco tutto.