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16 Settembre 2025

Château La Coste, arte come esperienza totale tra i vigneti della Provenza

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In una valle sospesa tra il Luberon, Aix-en-Provence e i colori immortali di Cézanne, Château La Coste si offre come un’esperienza totale: qui l’arte si snoda tra viti, querce e ulivi, in un percorso a cielo aperto che è insieme estetico, spirituale e sensoriale.

Questo luogo non è un semplice parco sculture, né una tenuta vinicola con pretese culturali. È un organismo vivente, un dialogo continuo fra l’umano e il naturale, il progettato e il selvatico. Si cammina tra i filari e, senza preavviso, ci si ritrova sotto una gigantesca ragnatela in bronzo, o all’interno di una cattedrale di cemento grezzo, o a contemplare il riflesso del sole su un disco che fluttua come fosse sospeso nel vuoto. Ogni opera è site-specific, pensata per parlare con, e non solo dentro, il paesaggio.

Château La Coste © Fermata Spettacolo
Château La Coste © Fermata Spettacolo

La tenuta, acquistata nei primi anni 2000 dall’imprenditore irlandese Patrick McKillen, si estende per oltre 200 ettari. L’idea fondante? Creare un luogo dove l’arte non fosse incorniciata, ma incarnata nel paesaggio, in costante dialogo con la natura e la luce provenzale. Oggi, il parco artistico ospita più di 40 installazioni, commissionate ad artisti e architetti di fama internazionale.

Crouching Spider © Fermata Spettacolo
Crouching Spider © Fermata Spettacolo

Il cuore spirituale del parco è senza dubbio l’intervento dell’architetto giapponese Tadao Ando, che ha disseminato la sua architettura sacra in cinque luoghi chiave del percorso. L’ingresso è segnato da un arco minimale, la Gate, quasi invisibile, che suggerisce il passaggio a un altro tempo: quello del silenzio, dell’attenzione, della lentezza. Subito dopo si incontra l’Art Centre, una struttura trasparente e minimale che accoglie i visitatori tra giochi d’acqua, cemento grezzo e silenzio contemplativo.

Crouching Spider di Louise Bourgeois © Fermata Spettacolo
Crouching Spider di Louise Bourgeois © Fermata Spettacolo

Il punto più alto è occupato dalla Chapel, una chiesa contemporanea e priva di simboli religiosi, dove la luce naturale entra solo da piccole fessure, trasformando il cemento in materia sacra. Poco distante, un piccolo padiglione in legno custodisce l’installazione Four Cubes to Contemplate Our Environment: un invito alla meditazione ambientale, al centro di una spirale di silenzio. Seduti sulle sue Origami Benches, disposte per abbracciare il paesaggio, si ha la sensazione di essere dentro un haiku di pietra.

Music Pavillion di Frank Gehry © Fermata Spettacolo
Music Pavillion di Frank Gehry © Fermata Spettacolo

Ma se Ando è il maestro del vuoto, Louise Bourgeois è regina della presenza. La sua Crouching Spider, installata su un piccolo stagno, è tanto minacciosa quanto protettiva. Le zampe lucenti sembrano pronte ad afferrare o accogliere, in un ambivalente gesto materno. Poco più avanti, si snoda il Ruyi Path di Ai Weiwei, sentiero sinuoso lastricato con pietre provenienti dal porto di Marsiglia. È una camminata lenta e simbolica, che richiama il viaggio dei migranti verso l’Europa e diventa esperienza politica e poetica.

Rail Car di Bob Dylan © Fermata Spettacolo
Rail Car di Bob Dylan © Fermata Spettacolo

Il percorso si apre poi a opere più giocose o enigmatiche, come la carrozza ferroviaria in ferro battuto di Bob Dylan, Rail Car, un’evocazione della frontiera americana e del viaggio senza fine. Oppure il Self-Portrait: Cat Inside a Barrel di Tracey Emin, un’installazione viscerale, oscura, nascosta tra gli ulivi: un autoritratto emotivo, non figurativo, dove l’artista dice di aver voluto rappresentare non “come mi vedo, ma come mi sento”.

© Fermata Spettacolo
© Fermata Spettacolo

Il paesaggio stesso diventa parte dell’opera con gli interventi di Andy Goldsworthy e Per Kirkeby. Il primo ha creato Oak Room, una stanza intrecciata di legno di quercia nascosta dentro un muro, che accoglie il visitatore come un ventre primordiale. Il secondo firma Brick Labyrinth, un labirinto in mattoni artigianali che si svela tra i boschi come un’architettura antica, senza inizio né fine.

Drop di Tom Shannon © Fermata Spettacolo
Drop di Tom Shannon © Fermata Spettacolo

Lungo il percorso ci si imbatte anche in gesti di rara leggerezza, come Drop di Tom Shannon, un disco levitante in acciaio lucidato che si muove con un semplice tocco, riflettendo cielo e paesaggio come in una goccia d’acqua sospesa. In contrasto, la Meditation Bell di Paul Matisse è quasi invisibile: solo chi sa come toccarla può attivarne il suono, profondo e quasi mistico.

© Fermata Spettacolo
© Fermata Spettacolo

C’è spazio anche per il mito e la maternità con l’imponente Mater Earth di Prune Nourry: una figura femminile incinta, distesa tra i filari come una divinità addormentata. In un angolo più discreto, i Wish Trees di Yoko Ono – otto mandorli circolari – aspettano i pensieri e desideri dei visitatori, scritti a mano su piccoli fogli legati ai rami.

Mater Earth di Prune Nourry © Fermata Spettacolo
Mater Earth di Prune Nourry © Fermata Spettacolo

Le architetture si alternano alle sculture con eleganza: il padiglione sotterraneo di Renzo Piano, scavato sei metri sotto terra per non alterare la morfologia del vigneto, sembra scomparire nel paesaggio, mentre la galleria sospesa di Richard Rogers fluttua come una libellula industriale tra le viti. Frank Gehry, invece, firma un padiglione musicale dai volumi curvi e teatrali, e affianca l’opera The Marriage of Athens and New York, una scultura che riflette la tensione fra classicità e modernità.

Padiglione di Renzo Piano © Fermata Spettacolo
Padiglione di Renzo Piano © Fermata Spettacolo

Tra le sorprese, le volpi metalliche di Michael Stipe, cantante dei R.E.M., nascoste tra le rocce, in una sorta di caccia poetica. E le geometrie concettuali di Hiroshi Sugimoto, che traduce una formula matematica in forma scultorea, in un cortocircuito tra arte, scienza e infinito.

Le volpi di Michael Stipe © Fermata Spettacolo
Le volpi di Michael Stipe © Fermata Spettacolo

Dopo qualche ora di cammino tra arte e natura, il luogo ideale per una pausa è La Terrasse Provençale, bistrot all’ombra di platani secolari. Qui si celebra una cucina semplice ma autentica, fedele alla tradizione della Provenza contadina: ingredienti freschissimi, spesso raccolti direttamente dall’orto accanto, sapori netti e porzioni generose.

La Terrasse © Fermata Spettacolo
La Terrasse © Fermata Spettacolo

Il menu cambia con le stagioni ma resta ancorato alla qualità degli ingredienti: salumi biologici, formaggi locali, zuppe fredde, insalate ricche e torte salate fatte in casa. Da non perdere, la torta di cipolle, fragrante e dolce, servita tiepida e perfetta con un calice di rosé biodinamico prodotto nella tenuta.

Château La Coste non si visita, si attraversa, come un cammino, un pellegrinaggio laico in cui l’arte non si contempla soltanto: si incontra, si tocca, si respira. Come il vino che nasce dalla terra, anche le opere qui si radicano nel paesaggio. Alcune urlano, altre sussurrano. Alcune si cercano, altre ti trovano. Ma tutte parlano, a chi ha tempo e voglia di ascoltare.

Per maggiori info: https://chateau-la-coste.com