
“Una scatola di intonaco e dentro ventisei occhi che mi guardano”. Così il professore Ardeche descrive la sua classe del liceo Les Izards, nella fatiscente e multirazziale periferia parigina. Di questo parla lo spettacolo “L’ora di ricevimento” (sottotitolo: “banlieue” che significa appunto sobborgo parigino) al Teatro Storchi di Modena, con Fabrizio Bentivoglio, Francesco Bolo Rossini, Giordano Agrusta, Arianna Ancarani, Carolina Balucani, Rabii Brahim, Vittoria Corallo, Andrea Iarlori, Balkissa Maiga, Giulia Zeetti, Marouane Zotti per la drammaturgia di Stefano Massini e la regia di Michele Placido.
La prima parte dello spettacolo è un monologo direttamente al pubblico. Il professore di francese, interpretato dal bravo Bentivoglio, ci mostra tutte le sue certezze mentre individua i caratteri salienti che non possono mai mancare in una classe di alunni: il “raffreddore”, cioè il ragazzo che ha sempre freddo e che sniffa accanto al termosifone, il “fuggi presto”, quello che osserva la porta attendendo il suono della campanella come un centrometrista aspetta lo sparo dello starter, il “primo banco” che è stato fregato da tutti gli altri e che si trova suo malgrado davanti alla cattedra come un “ergastolano condannato innocente”, etc. Delinea i tratti di ogni categoria, che lui chiama dolcemente “soprannomi”, in modo quasi paterno: ha visto molti ragazzi nella sua lunga esperienza di docente ed è diventato bravo ad etichettarli, e se li ricorda tutti. Individua anche le coppie che in una classe immancabilmente si formano: il boss e il suo guardaspalle, l’eterno triste e il missionario che lo aiuta, la campionessa (secchiona) e il falsario intento a copiare. La sua non è una fredda analisi, anzi pullula di ricordi ed aneddoti dei suoi allievi passati, che sfociano spesso nel comico. “I soprannomi tornano di anno in anno, […] sempre uguali, […] cambiano i nomi”.
Dopo questa introduzione la scenografia cambia: la cattedra che prima era rivolta verso di noi viene spostata di traverso, delinea l’aula dove, ogni giovedì dalle 11 alle 12, il professore riceve i genitori dei suoi alunni. Il suo atteggiamento disincantato e per certi versi rassegnato è quasi poetico, si districa fra problemi razziali, religiosi e morali con la leggerezza che solo le citazioni di Voltaire possono conferire. Anche nei confronti del suo nuovo ed imbranato collega di matematica, non perde occasione per mostrare quanto conosce i suoi ragazzi e sa come comportarsi con loro e con i rispettivi genitori. Pare che niente possa sfuggire al suo acume, ma il bello è proprio scoprirlo debole e quasi indifeso quando sono proprio i suoi alunni ad impartirgli una lezione di vita.
Nel finale si ha come la sensazione che la sua esistenza coincida con il calendario scolastico, il primo giorno di vacanza si sovrappone al primo giorno di scuola, la sua vita non esiste se non in quella scuola. La rassegnazione, causata dalle tante difficoltà affrontate in questa società multietnica e apparentemente molto rigida, copre come un velo di sabbia la sua originale passione per l’insegnamento.
Bentivoglio è molto bravo a farci entrare nella mente di questo vecchio insegnante: la recitazione è fluida, le pause ben cadenzate, percepiamo il cinismo dell’uomo senza sguazzarci dentro. Il testo di Massini è molto intenso, ci mostra il peggio della multiculturalità: si assiste alla “guerra tra poveri” finalizzata all’autoaffermazione rigida dei propri principi, rinunciando così ad ogni tentativo di integrazione. Mentre i genitori combattono la loro battaglia, i figli cosa penseranno? Cosa succede davvero durante le lezioni del professore? Sarà cinico e rassegnato o appassionato e coinvolgente durante l’insegnamento? Il testo non lo svela, ci spinge come a intuire cosa hanno mangiato i commensali di una cena e di cosa hanno discusso soltanto analizzando le pentole sudicie che restano in cucina. Si lascia quindi speranze sulle nuove generazioni ma si condannano quelle esistenti, solo la scuola può fare la differenza?
Spettacolo Bentivoglio-centrico, con una scenografia minima e la regia di Placido appena percepibile.